Recensioni
L’Islam tradizionale nel mondo moderno

Il Padova del 25/03/2007

Dalla Prefazione alla prima edizione: «Il crescente interesse nei riguardi dell’Islam, manifestato negli ultimi anni da molti occidentali, invece che favorirne la conoscenza nei suoi molteplici aspetti, ha spesso creato una certa confusione che la passione suscitata dall’argomento e i vari interessi di parte hanno ulteriormente alimentato. Fino a qualche decennio fa i musulmani potevano lamentarsi unicamente delle deformazioni presenti negli studi di orientalisti e islamisti, o della scarsa attenzione da parte occidentale per tutto ciò che era Islam. Oggi, grazie al sincero tentativo di alcuni musulmani di riaffermare il carattere originario della propria tradizione e di preservarla, ma anche, sfortunatamente, in seguito alle sgradevoli strumentalizzazioni dell’Islam da parte di varie forze politiche, quest’indifferenza è sicuramente diminuita. Tuttavia, nuovi fraintendimenti sono andati ad aggiungersi a quelli “classici” degli orientalisti.
Una notevole quantità di articoli scritti in nome dell’approfondimento scientifico (o che si presentano come tali) sono ormai disponibili; esiste una lettura di sinistra, spesso esplicitamente marxista, che dalla sfera propriamente comunista si è diffusa in Occidente e anche in alcune aree del mondo islamico; c’è poi il sedicente risveglio islamico detto “fondamentalista” che è oggetto di molta attenzione mediatica in tutta Europa, giocando un ruolo non trascurabile, sia a parole che nei fatti, nella formazione dell’immagine dell’Islam in Occidente.
Come risultato di queste e altre interpretazioni contemporanee, il compito di comprendere l’Islam così com’è stato vissuto e conosciuto tradizionalmente attraverso i secoli diventa sempre più arduo. C’è chi ne dà un’interpretazione marcatamente occidentale, chi una modernista e chi si occupa dell’ ampio spettro di fenomeni che di solito vanno sotto il nome di fondamentalismo. Ma quanti parlano dell’Islam tradizionale che, nel corso di quattordici secoli di storia, è stato rappresentato da teologi e giuristi, filosofi e scienziati, artisti e poeti, sufi e semplici fedeli? L’Islam che, di fatto, ancora oggi, rappresenta la maggioranza dei musulmani, dall’Atlantico al Pacifico?
È per colmare questa lacuna, per chiarire cos’è l’Islam autentico, che questo libro, come del resto anche tutti gli altri nostri lavori, è stato scritto. Quasi ogni giorno sorge qualche nuova questione sulla quale è richiesto il punto di vista islamico. Generalmente, la risposta è data in senso moderni sta o “fondamentalista” da chi, solo perché islamico, pensa di avere le credenziali per farlo, oppure in chiave accademica da qualche islamista occidentale che, a dire il vero, a volte lo fa in modo più equilibrato, proprio perché non è personalmente coinvolto nei conflitti intellettuali che agitano il mondo musulmano. In ogni occasione in cui ci è stato possibile, noi abbiamo cercato di fornire il nostro modesto contributo ad una migliore conoscenza dell’Islam in Occidente presentando il punto di vista tradizionale.
In alcuni dei nostri libri precedenti, specialmente in Islam and the Plight of Modern Man e in Islamic Life and Thought ,abbiamo già presentato degli studi su numerosi aspetti dell’Islam tradizionale di fronte al mondo moderno. In questo libro continuiamo a farlo concentrandoci maggiormente sul contrasto tra l’Islam tradizionale, il suo revival e le manifestazioni “fondamentaliste” caratteristiche dell’epoca contemporanea; a tal fine abbiamo preso in considerazione alcune istanze particolarmente significative per il mondo musulmano stesso e per la sua comprensione da parte dell’Occidente, a cominciare dallo studio della natura dell’Islam tradizionale propriamente detto contenuto nel Prologo.
La prima parte del libro si occupa degli aspetti di base della tradizione islamica attualmente più dibattuti, a cominciare dal significato di jihad, un termine ormai entrato nel lessico occidentale ma ampiamente frainteso e spesso intenzionalmente interpretato negativamente. Poi si passa allo studio dell’etica del lavoro così com’è descritta nelle fonti tradizionali e vissuta all’interno delle società tradizionali; distinguendo tra i due piani, cerchiamo di sottolinearne la validità permanente. Nel saggio successivo l’attenzione è volta all’ostica questione della relazione tra maschile e femminile, studiata sia nella sua dimensione profonda che nei suoi risvolti sociali. Senza arrenderci ai clichés correnti ma accettando la sfida posta all’Islam circa il ruolo e la posizione delle donne, abbiamo cercato di fornire una conoscenza delle basi metafisiche e psicologiche della relazione uomo/donna sulla quale, secondo la concezione islamica, si reggono tutte le relazioni sociali. Alla fine della prima parte, cerchiamo di chiarire cos’è lo Sciismo sviluppatosi nella Persia safavide come religione di Stato, al fine di fornire il bagaglio culturale necessario ad un approfondimento teologico e storico. Ciò è indispensabile per capire il ruolo dello Sciismo nell’Islam di oggi e nell’intero Medio Oriente.
La seconda parte entra direttamente nel merito del confronto tra l’Islam tradizionale e il modernismo, a cominciare da uno studio generale sull’Islam nel mondo musulmano contemporaneo e sui differenti rapporti esistenti tra le diverse forze e correnti che lo attraversano: tradizionali, “fondamentaliste” e moderniste. Seguono alcune riflessioni sulla relazione tra gli aspetti intellettuali dell’Islam tradizionale e il pensiero moderno, e sull’impatto che ha la tradizione sulla vita intellettuale dei musulmani d’oggi. A conclusione un capitolo è dedicato a un’istanza centrale nella lotta tra le varie forze intestine dell’Islam: il significato dello “sviluppo” nel contesto dei valori islamici.
La terza parte, la più lunga, è volta allo studio delle tensioni presenti, in diversi contesti culturali, tra l’Islam tradizionale e il modernismo. Ci occupiamo principalmente della formazione culturale, tema capitale in molti paesi islamici e in particolare della filosofia, il cui insegnamento, di importanza cruciale, riflette il conflitto tra modernismo e tradizione. Infine, parliamo di architettura e urbanistica, due discipline strettamente correlate che sono oggetto di uno scontro e di un dibattito appassionato nel mondo islamico, e che hanno un grande impatto religioso e culturale sulla vita dell’intera comunità.
La parte finale di questo libro è dedicata a tre interpreti occidentali eccezionali dal punto di vista del loro contributo agli studi sull’Islam; il primo è un cattolico [Louis Massignon], il secondo un protestante [Henry Corbin] e il terzo un musulmano [Titus Burckhardt]. Questa parte, oltre a cercare di sottolineare il valore dell’opera di questi studiosi, punta a dimostrare che l’Islam tradizionale, contrariamente al modernismo e al “fondamentalismo”, giudica gli studi occidentali in base a criteri oggettivi e non etno-geografici. Infatti, la prospettiva tradizionale, pur rimanendo critica verso le deformazioni contenute negli studi degli orientalisti, non si permette asserzioni offensive solo per il fatto che l’autore preso in considerazione è un occidentale; tanto meno loda, gravata da qualche complesso di inferiorità, uno studio sull’Islam semplicemente perché scritto in una qualsiasi lingua occidentale o perché usa tutto il classico armamentario della ricerca universitaria moderna. Questi saggi sperano di chiarire cosa la ricerca occidentale sull’Islam potrebbe fare per favorirne una migliore comprensione, basata su empatia e affetto, senza che vengano compromessi il rigore della ricerca né (ciò che è ancora più importante) sminuito quanto è dovuto al vero.
Benché il futuro, in una prospettiva islamica, appartenga a Dio e Lui solo ne abbia piena conoscenza, c’è oggi un tale interesse verso l’avvenire del mondo islamico e per le varie proiezioni possibili a partire dall’osservazione delle tendenze attuali, che abbiamo dato spazio anche a questo argomento scottante. L’ultimo saggio, infatti, si occupa delle tendenze attuali nel mondo musulmano e di come queste potranno svilupparsi nell’immediato futuro. Abbiamo scritto tutto questo nella piena consapevolezza che tutto lo scibile umano è incapace di prevedere i precisi momenti e i modi in cui la volontà di Dio si manifesta nella Storia. Bisogna dunque avere l’accortezza di riconoscere che di queste cose Dio è il più sapiente. […] Speriamo che questa raccolta di saggi contribuisca ad una migliore conoscenza in Occidente dell’Islam tradizionale e anche che possa renderne gli insegnamenti più facilmente accessibili a quei musulmani che, per educazione e formazione, li troverebbero troppo ostici se espressi con un linguaggio tradizionale. Ogni passo verso una migliore comprensione dell’Islam e dell’Occidente non può che essere di reciproco giovamento per entrambi i mondi, i cui destini sono intimamente correlati, in modi forse non sempre evidenti ma che abbracciano la vita spirituale, artistica e intellettuale, così come la politica e l’economia, vale a dire tutto quello che costituisce il tessuto stesso della vita interiore e della storia umana che si dipana nel tempo e nello spazio».
Una Nota editoriale su «Cultura tradizionale e anti-tradizione» opportunamente puntualizza, a conclusione del volume ed a mo’ di postfazione, il significato e la collocazione dell’opera di Nasr rispetto alle più appariscenti correnti dell’odierno fondamentalismo islamico, colto nei suoi aspetti anti-tradizionali, e ne registra i limiti di consonanza con le individualità che in Occidente hanno operato nel corso degli ultimi cento anni per una reviviscenza del pensiero tradizionale. Essa va segnalata perché esplicita aspetti forse non immediatamente recepibili dal lettore attraverso la lettura di questo singolo volume e ne favorisce l’inquadramento in un contesto più complesso.
Al di là di qualsiasi valutazione critica, favorevole o sfavorevole, si pone una domanda all’Editore: perché non facilitare l’approccio del lettore ad un’opera non priva di asperità, completandola mediante la modesta fatica richiesta dalla compilazione di un indice dei nomi?

Da Archiviostorico

IL LIBRO – Scritto da uno dei più noti studiosi islamici, questo libro dà una chiave di lettura dell’Islam contemporaneo dal punto di vista tradizionale che merita d’esser meditata da tutti coloro che si interessano alla questione islamica. Il volume, che spazia dalla politica all’urbanistica, dalla pedagogia alla gnosi, offre infatti un inedito angolo visuale secondo il quale il fondamentalismo appare come l’altra faccia del modernismo.

 

DAL TESTO – “La tradizione è […] come un albero le cui radici affondano, attraverso la rivelazione, nella Natura divina da cui proviene la linfa che, nei secoli, ne ha alimentato il tronco e i rami. Nel cuore dell’albero della tradizione abita la religione. La sua linfa è la grazia ovvero la barakah che, originata con la rivelazione, rende possibile la vita dell’albero. La tradizione implica il sacro, l’eterno, la verità immutabile, la saggezza perenne e l’applicazione continua dei principi immutabili alle mutevoli condizioni di spazio e tempo. La vita terrena di una rivelazione può esaurirsi. Anche le civiltà tradizionali infatti decadono ma normalmente questa decadenza, come pure la presenza di scuole di pensiero in contrasto tra loro, resta nell’ambito della tradizione. Ciò che invece è direttamente opposto alla tradizione è la contro-tradizione […] e, naturalmente, il modernismo, senza la cui esistenza non ci sarebbe bisogno del termine tradizione. Se i tradizionalisti insistono su questa opposizione assoluta tra tradizione e modernismo è precisamente perché la vera natura del modernismo crea nel campo della religione e della metafisica un’immagine sfocata all’interno della quale una mezza verità appare come verità e di conseguenza l’integrità della tradizione viene compromessa”.

Lo Specchio del Gesto

Specchio del GestoAnanda Coomaraswamy

Abhinaya Darpana di Nandikesvara

Il breve compendio noto come Lo specchio del Gesto (o della coreutica) nella versione di Ananda Coomaraswamy realizzata in collaborazione con Gopala Kristnayya Duggirala.

 

 

Il linguaggio dei gesti, dei piedi, del volto e delle mani sono svelati nel classico, Abhinaya Darpana di Nandikesvara, che viene fatto risalire ad un’epoca anteriore al XIII secolo d. C.
Questo libro è la traduzione di un antico trattato indù sull’arte del teatro e della danza (l’uno e l’altro sono denominati in sanscrito con la stessa parola, natya); qui si tratta, naturalmente, di un’arte rigorosamente tradizionale, la cui origine è riferita a Brahma stesso e situata all’inizio del Treta-Yuga. In essa tutto ha un significato preciso, e di conseguenza nulla può essere demandato alla fantasia individuale; i gesti (sopratutto i mudra, o segni formati dalle posizioni delle mani) costituiscono un vero linguaggio ieratico, che del resto si ritrova in tutta l’iconografia indù.
                                                                                              René Guénon
(Estratto dalla recensione dell’edizione americana di The Mirror of Gesture apparsa su Le Voile d’Isis nel 1936)

Traduzione di Marianna Biadene

Formato: 13,5x21 cm, Pagine: 176, illustrato, ISBN: 88-89466-34-6 Prezzo: € 16,00

Recensioni L’altra guerra del Kosovo

Recensione Massimo Cacciari

Sole 24 Ore

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Il Manifesto

Appello: Salvare i monasteri per salvare la multietnicità

Dal monastero di Decani: «Chi ci protegge? Le chiese, l’arte, la storia e l’intera cultura ortodossa sono ormai a rischio» di T. D. F.

Una folla assalta e incendia il monastero ortodosso di S. Elia a Podujevo, poi tutti applaudono. Sono le immagini feroci del 17 marzo 2004 quando si scatenò la furia della contropulizia etnica albanese contro i pochi serbi rimasti in Kosovo che aveva preso inizio nel giugno del 1999 appena erano entrati i primi soldati della Nato. Nel marzo 2004 vennero uccise 19 persone e distrutti 35 tra chiese e monasteri, in soli tre giorni.
«Non c’è futuro»
E’ l’inizio del prezioso documentario «Enclave Kosovo» della regista Elisabetta Valgiusti della campagna “Salvaimonasteri” (www.salvaimonasteri.org) uscito solo due anni fa. Impietosa, la macchina da ripresa raggiunge i profughi serbi nella palestra di Obilic dove vivono ancora adesso; a parlare è un bambino che ripete: «Voglio dire che noi non siamo al sicuro, io voglio tornare a casa». Da Kosovska Mitrovica, dove vive ancora adesso, parla il rappresentante Oliver Ivanovic: «Per noi non c’è futuro, la disoccupazione è al 65%, ci viene impedito ogni sbocco». Poi le immagini si attardano sulle macerie del monastero di Devic raso al suolo nel marzo 2004 e sulle mura annerite che hanno cancellato le volte affrescate della chiesa Madre di Dio di Ljeviska. «Ci hanno attaccato in tremila – racconta un testimone – allora siamo stati scortati nella sede parrocchiale dalla Kfor e loro hanno cominciato a buttare spugne imbevute di nafta, poteva essere una strage». Ecco il legame indissolubile tra presenza umana, quella della minoranza serba e insediamenti ortodossi. Senza monasteri, addio serbi. Solo la pittura, gli affreschi, l’architettura dei monasteri era il collegamento tra arte bizantina, arte romano gotica e area slava, tra oriente e occidente. Un anello mancante, ricordava nel documentario Massimo Cacciari.
Certo, l’amministrazione dell’Onu-Unmik ha pesanti responsabilità: in particolare con la gestione Kouchner il Kosovo è stato di fatto avviato verso una improbabile quanto illeggittima indipendenza, non contemplata nella risoluzione 1244 con cui l’Onu ha fatto propria la pace di Kumanovo del luglio 1999. Tranquilli però: ora il nostro contingente difende le enclave serbe. Ma non erano i «nemici»? Indimenticabili le parole del colonnello Castellano, che comandava nel marzo 2004 i paracadutisti italiani della zona «I serbi non hanno possibilità di movimento, nemmeno tra una enclave e l’altra». Ora il Kosovo è un mostro giuridico, un protettorato militare all’infinito, zona franca delle mafie internazionali, pronto all’indipendenza, cavalcata sia dagli Stati uniti sia da buona parte della comunità internazionale come conclusione etnica della «guerra umanitaria».
Il fatto è che tutti hanno taciuto perchè in Kosovo «è sempre stato marzo ed è durato per tutti gli anni di amministrazione Unmik», ha spesso ricordato Ennio Remondino. Non c’è solo da restaurare. I monasteri di Decani, Gracanica e Pec ancora non sono stati distrutti. La salvaguardia della loro integrità, non come difesa delle radici cristiane d’Europa – vogliamo forse un’altra guerra di religione, «umanitaria», stavolta contro i cattivi di turno, gli improbabili musulmani albanesi? -, ma come difesa degli insediamenti umani multietnici, può essere un obiettivo nuovo, se esiste tanta coscienza diffusa del disastro provocato dalla Nato che poteva essere evitato.
Una soluzione monoetnica?
A partire dal giudizio sul voto referendario costituzionale di oggi e domani indetto da Belgrado, dopo il sì del parlamento, per confermare, contro le intenzioni della comunità internazionale che vuole la regione indipendente in chiave monoetnica, che «il Kosovo è parte irrinnciabile della Serbia». E al quale la maggior parte dei serbi, cacciati dal Kosovo, parteciperà e che invece Pristina e Washington vedono già come «inizio» di un nuovo conflitto con Belgrado, dove però non c’è più l’odiato Milosevic, ma i leader moderati Kostunica e Tadic. Da monastero di Decani arriva in questi giorni l’appello-allarme di padre Teodosjie: «Rischiamo la distruzione di tutta la storia ortodossa». Come l’allarme di Padre Sava contenuto nel libro curato da Luana Zanella, «L’altra guerra del Kosovo» (ed. CasadeiLibri 2005)che, alla domanda su come vivano i serbi ora in Kosovo rispondeva: «Sono un popolo esposto alla distruzione, sia fisica, che spirituale. A rischio estinzione. La nostra tragedia continuerà finché la comunità internazionale tollererà la violenza etnica e la costruzione di una società albanese monoetnica».

gazzettino

Il Gazzettino

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Archiviostorico.info

Sullo sfondo di un conflitto secolare ancora drammaticamente irrisolto nel cuore dell’Europa, in quei Balcani che per caratteristiche geografiche, culturali e religiose sono sempre stati “terra di passaggio”, di scambio, di incontro e scontro tra Oriente e Occidente, questo pregevole saggio, a più voci, affronta il tema, cruciale per la cultura europea, della salvaguardia del patrimonio storico, architettonico, monumentale serbo ortodosso, in Kosovo, a rischio di distruzione, nonostante la presenza della forza multinazionale “di pace” in quell’area dove la popolazione serba vive nelle enclaves e la convivenza con gli albanesi sembra ancora una chimera.
Il volume offre uno sguardo d’insieme sull’arte grandiosa di questo Paese, sulle sue chiese e i suoi monasteri, centri culturali, religiosi, ma anche politici e simbolici, per conoscere ciò che abbiamo irrimediabilmente perduto e ciò che è ancora possibile, e indispensabile, salvare.
Luana Zanella introduce e cura la pubblicazione. Deputata, attenta e impegnata anche attraverso specifiche missioni sul fronte delle aree interessate dalle guerre contemporanee, ha promosso iniziative parlamentari e politico-culturali (con il filosofo e sindaco di Venezia Massimo Cacciari, in collaborazione con l’Associazione “Salva i Monasteri”) per far conoscere il patrimonio artistico, storico e religioso della cristianità serbo-ortodossa in Kosovo, e promuovere nel dopoguerra, a fronte dell’avvenuta distruzione, la salvaguardia di testimonianze di altissimo valore, e spingere lo Stato italiano ad assumere adeguata responsabilità.
Nel testo, sono raccolti saggi di: Alessandro Bianchi, storico dell’Arte, direttore dell’Istituto centrale per il restauro, Ministero per i beni e le attività culturali; Andrea Catone, scrittore, insegnante, ricercatore, presidente dell’associazione “Un ponte per Belgrado in terra di Bari”, attento osservatore degli sviluppi e contraddizioni dell’attuale dopoguerra in Kosovo e nei Balcani; Rosa D’Amico, storica dell’arte della Soprintendenza per il patrimonio storico-artistico ed etnoantropologico di Bologna, da anni si dedica allo scambio culturale con la Serbia. Di grande significato la mostra da lei organizzata “Tra le due sponde dell’Adriatico. La pittura nella Serbia del XIII secolo e l’Italia”, presentata a Bologna, Ferrara, Bari e Venezia, tra il 1999 e il 2000, per porre il problema della tutela dei beni artistici in tempo di guerra. Numerose pubblicazioni sul Medioevo serbo e i grandi cicli dei monasteri del 1200; Renato D’Antiga, autore di molti testi sulla tradizione greco-ortodossa, tra cui “Gregorio Palamas e l’Esicasmo”, “Luci dal Monte Athos” e “Guida alla Venezia Bizantina”, propone qui una sintesi della storia della chiesa serbo-ortodossa in Kosovo; Tommaso Di Francesco, poeta, scrittore e giornalista, più volte inviato nei Balcani, è caporedattore del quotidiano “il manfesto”; Valentino Pace, docente dell’Università degli studi di Udine, esperto di arte medievale italiana e bizantina, con incarichi presso varie università italiane e straniere. Membro dell’Accademia di scienze e lettere di Oslo. Ha pubblicato “Campania romanica” (Milano, 1997), “Arte a Roma nel Medioevo” (Napoli, 2000); Daniele Senzanonna, ricercatore.
“Questo libro collettivo curato da Luana Zanella – si legge nella Prefazione di Massimo Cacciari – è molto più che un documento sugli attuali conflitti che insanguinano il Kosovo, nel contesto della grande, nuova crisi balcanica, di fronte a cui la costruzione politica europea ha dimostrato tutta la sua debolezza. Esso aiuta a capire tutta la storia della Regione, e non solo sotto il profilo politico, ma anche e soprattutto culturale, artistico e spirituale. Esso aiuta a capire la ‘profondità’ delle recenti tragedie, come la loro radice, debba essere cercata indietro nel tempo, negli strati che potevano apparire sommersi dell’anima di quei popoli. Nessuna facile ‘rimozione’ di tali motivi potrà mai produrre accordi, e tanto meno una pace duratura. E’ necessario, anche in questo caso, per così dire, guardare in faccia tutto l’inferno della storia, le sue immense catastrofi, gli odi che la percorrono, le sofferenze che produce. Soltanto risalendo da tale inferno si potrà sperare di giungere a rivedere la luce”.

 

 

L’altra guerra del Kosovo

L'altra guerra del KosovoIl patrimonio della cristianità serbo-ortodossa da salvare

A cura di Luana Zanella
Sullo sfondo di un conflitto secolare ancora drammaticamente irrisolto nel cuore dell’Europa, in quei Balcani che per caratteristiche geografiche, culturali e religiose sono sempre stati “terra di passaggio”, di scambio, di incontro e scontro tra Oriente ed Occidente, un testo, a più voci, che affronta il tema, cruciale per la cultura europea, della salvaguardia del patrimonio storico, architettonico, monumentale serbo ortodosso, in Kosovo, a rischio di distruzione, nonostante la presenza delle forze multinazionalidi pace in quell’area dove la popolazione serba vive nelleenclaves e la convivenza con la maggioranza albanese sembra ancora una chimera.
Uno sguardo sull’arte grandiosa di questo paese, sulle sue chiese e i suoi monasteri, centri culturali, religiosi, ma anche politici e simbolici, per conoscere ciò che abbiamo perduto e ciò che è ancora possibile, e indispensabile, salvare.

Prefazione di Massimo Cacciari

Testi:

Alessandro Bianchi, L’Istituto centrale per il restauro in Kosovo e nell’ex Jugoslavia.

Andrea Catone, Il Kosovo sotto “protettorato” UNIMIK un etnocidio annunciato.

Rosa D’Amico, Sul Crinale tra Occidente e Oriente, l’arte della Serbia del ‘200 come ponte tra culture.

Renato D’Antiga, Stato e Chiesa nella Serbia medioevale.

Tommaso Di Francesco, Voci del Kosovo.

Valentino Pace, Chiese e monasteri in Kosovo, una testimonianza della civilità cristiana in pericolo.

Daniele Senzadonna, Serbi e albanesi in una terra senza stato.

Luana Zanella, Tre giorni in Kosovo.

Recensioni

Formato: 13,5 x 21 cm., Pagine: 264 Illustrato con un sedicesimo a colori, ISBN: 88-89466-07-3 Prezzo: € 21,00

Autori L’altra guerra del Kosovo

Alessandro Bianchi, storico dell’arte, direttore dell’Istituto centrale per il restauro, Ministero per i beni e le Attività culturali.

Andrea Catone, Lineamenti per una storia del Kosovo scrittore, insegnante, ricercatore, presidente dell’associazione Un ponte per Belgrado in terra di Bari, attento osservatore degli sviluppi e contraddizioni dell’attuale dopoguerra in Kosovo e nei Balcani.

Rosa D’Amico, storica dell’aerte della Soprintendenza per il patrimonio storico artistico ed etnoantropologico di Bologna, da anni si dedica allo scambio culturale con la Serbia. Di grande significato la mostra da lei organizzata Tra le due sponde dell’Adriatico. La pittura nella Serbia del XIII secolo e l’Italia, presentata a Bologna, Ferrara, Bari e Venezia, tra il 1999 e il 2000, per porre il problema della tutela dei beni artistici in tempo di guerra. Numerose pubblicazioni sul Medioevo serbo e i grandi cicli dei monasteri del 1200.

Renato D’Antiga, autore di molti testi sulla tradizione greco-ortodossa.

Tommaso Di Francesco, poeta, scrittore e giornalista, più volte inviato nei Balcani, è caporedattore del quotidiano Il Manifesto.

Valentino Pace, docente dell’Università degli studi di Udine, esperto di arte medievale italiana e bizantina, con incarichi presso varie università italiane e straniere. Membro dell’Accademia di scienze e lettere di Oslo. Ha pubblicato Campania romanica, Jaca Book 1981, 1997, Arte a Roma nel Medioevo, Liguori 2000.

Daniele Senzadonna, ricercatore.

Luana Zanella, Ex parlamentare, attenta e impegnata anche attraverso specifiche missioni sul fronte delle aree interessate dalle guerre contemporanee, ha promosso iniziative parlamentari e politico-culturali (con il filosofo e sindaco di Venezia Massimo Cacciari, in collaborazione con l’Associazione Salva i Monasteri) per far conoscere il patrimonio artistico, storico e religioso della cristianità serbo-ortodossa in Kosovo, e promuovere nel dopoguerra, a fronte dell’avvenuta distruzione, la ssalvaguardia di testimonianze di altissimo valore, e spingere lo Stato italiano ad assumere adeguata responsabilità.

Recensioni Il regno di Giano

Da Libero del 28/5/2010

Giardini e boschetti sacri nell’antico regno di Giano
di Emilio Rivolta

Un viaggio incantato, arcano, fiabesco. È quello che intraprende il lettore e osservatore del ricco volume Il regno di Giano – Boschi sacri, chiostri, giardini a Roma e nel Lazio ( Casadeilibri Editore, pp. 204, s.i.p, con illustrazioni a colori). Un’opera densa di riferimenti e di “incroci magici”, che hanno per cornice alberi e boschi sacri. L’itinerario inizia dal Gianicolo, la collina di Giano, dove la leggenda vuole sia sorta la prima città del Lazio, a opera di quel Giano che gli antichi raffigurarono con due teste, l’una rivolta al passato, l’altra al futuro, l’una a Occidente, l’altra a Oriente. Nove gli autori dei testi: Lorenzo Casadei, Alain Daniélou, Renato D’ANtiga, Francesco Maria Fonte Basso, Loretta Gratani, Paola Lanzara, Paola Di Silvio, Beatrice Testini, Massimo Vidale. E sette i fotografi: Federica Aghadian, Ferdinando Armati, Andrea Bonito, Giulia Delle Cave, Salvatore Fosci, Mario Ventura, Luciano Proietti. Il tutto curato da Lorenzo Casadei.
Si esordisce proprio con i boschi sacri, i luci, che nella civiltà romana impongono un particolare atteggiamento di venerazione, poiché connettono la divinità con la natura. Il culto di Giano affonda le radici nella tradizione etrusca. Paradossalmente, sul Gianicolo non si trovano vestigia di Giano, ma la tomba di Numa Pompilio, re di Roma, che ne istituì il culto, sorgeva accanto all’Ara Fonti, un sacello dedicato al figlio di Giano, Fons, dio delle fonti.
In compenso l’iconografia su Giano è vastissima, e riguarda Gli affreschi un tempo a Villa Lante (sul Gianicolo), ora dislocati altrove, un ritratto a stucco nella sessa villa, l’arco di Giano quadrifonte al Velabro, monete, sarcofagi di età imperiale, cartigli e così via, per non parlare dell’Erma di Giano, uno dei più bei pezzi dei Musei vaticani. Il volume prosegue con i megaliti d’Etruria, nella Tuscia viterbese, dove tra boschi e noccioleti sorgono altari e monumenti rupestri che la durezza della roccia ha conservato fino a noi. Molti conosceranno già il giardino delle meraviglie di Bomarzo. Qui alcuni scatti colgono scorci tra imeno conosciuti e visitati, come la sorprendente “Piramide”, forse un altare, così chiamato per la somiglianza con le piramidi azteche. Altrettanto misteriose le “cup – pelle” del parco dei Mostri: riferimenti per i contadini, mappe stellari o altari per i sacrifici? E come spiegare i riferimenti tra il testo quattrocentesco Il Sogno di Polifilo e il grande classico della letteratura cinese Il Sogno della Camera Rossa, del Settecento? Il saggio di Testini e Fonte Basso ne chiarisce le possibili relazioni.
L’opera comprende infine i fiabeschi giardini sospesi del castello Ruspoli di Vignanello, gli spettacolari “claustri” laziali (vedi quello di San Paolo fuori le mura) e un tour degli alberi monumentali,come il Ginkgo biloba all’Orto Botanico di Roma o la strabiliante Cupressus arizonica a Villa Pamphilj. Come scrisse Tagore, «gli alberi sono lo sforzo infinito della terra di parlare al cielo in ascolto».

Il Regno di Giano

Il regno di GianoBoschi sacri, Chiostri e Giardini
a Roma e nel Lazio

Sulle tracce del dio degli inizi dal Gianicolo a Bomarzo alla scoperta di alcuni dei luoghi più suggestivi del Lazio.

 

 

Testi

Lorenzo Casadei – Il regno di Giano

Alain Daniélou – La saggezza assassinata

Reanto D’Antiga – Claustri laziali

Paola Di Silvio – I megaliti d’Etruria

Beatrice Testini e Francesco Fonte Basso – Bomarzo in Cina

Loretta Gratani – Gli alberi monumentali

Paola Lanzara – Boschi sacri – L’albero e l’uomo

Massimo Vidale – Piccole coppe e pozzi del tempo

 

Vignanello

Recensioni

 

 

 

 

Formato: 30 x 30 cartonato., Pagine: 204 illustrato, ISBN: 88-89466-63-6 Prezzo: € 108,00

La scoperta dei templi

Scoperta dei templi

Alain Daniélou

Arte ed eros dell’India tradizionale

In quest’opera sono raccolti tre scritti inediti in italiano sull’arte sacra dell’India: il primo colloca l’arte tradizionale nel più ampio contesto della cultura indiana, il secondo si occupa dei templi indù e il terzo introduce al simbolismo delle sculture erotiche.

Con le magnifiche foto di Raimond Bournier

dello stesso autore:

La Via del Labirinto, Ricordi d’Oriente e d’Occidente
Il Tamburo di Shiva
Il giro del mondo nel 1936
La fantasia degli dei e l’avventura umana
La saggezza assassinata, in Il Regno di Giano
Principe Ilango AdigalLa cavigliera d’oro
Aravana AdigalManimekhalai

Statue

Formato: 13,5 x 21 cm., Pagine: 48 illustrato, ISBN: 88-89466-23-0 Prezzo: € 6,00

Recensioni Il Giro del Mondo nel 1936

Il Mattino del 2/11/2007

Quando Daniélou ritrovò la sua anima nell’India di Tagore
di Francesca Bellino

Alain Daniélou considerava l’India la sua vera patria. Nato in Francia, a Losanna, il musicologo, ricercatore, scrittore, pittore, viaggiatore, uno dei più eminenti orientalisti contemporanei, dopo il suo approdo sulle rive del Gange non diceva più di essere un francese, ma «un indiano convertito all’induismo». Daniélou scopre l’India all’inizio degli anni ‘30, se ne innamora e sceglie di viverci. Naturalmente anche il giro del mondo che intraprende nel 1936 insieme all’amico fotografo Raymond Burnier è ricco di tappe indiane. I due, che decidono di percorrere il Paese in roulotte, il loro sguardo è curioso e affamato di conoscenza. Non si annoiano mai e quell’esperenza è raccontata nel libro Il giro del mondo nel 1936.
Daniélou per più di vent’anni vive a contatto con gli indiani, «pronto a fare tabula rasa della sua cultura». La prima persona che incontra è il poeta Rabindranath Tagore, la sua città diventa Benares dove vive dividendo il suo tempo tra l’attività di ricercatore all’Università, lo studio del Sancrito e dell’hindi – per lui lingue fondamentali per capire la cultura indiana – lo yoga e la scoperta delle canzoni tradizionali. Subito si converte all’induismo, un apparente paradosso per il figlio di una madre cattolica, un padre anticlericale e un fratello futuro cardinale. Il suo maestro gli da il nome di Shiva Sharami (il protetto di Shiva). Non si sente un guru, né un profeta, ma quando, nel 1958, torna in Europa, per lui «un Paese malato», il suo intento è far conoscere l’India tradizionale all’Occidente e far capire che l’induismo può portare un nuovo Rinascimento. Fino alla morte, 10 anni fa, solo l’Italia riuscirà a farlo sentire a casa.

recensione del Giro del mondo

 

Autocar di ottobre 2008

Indù vai?

Appassionato credente e studioso dell’induismo, l’orientalista e musicologo francese Alai Daniélou è stato anche un pioniere dei raid automobilistici. Come racconta in un libro di prossima pubblicazione
in occasione del centenario della sua nascita, vorrei dedicare questa pagina ad Alain Daniélou. Nato in Francia il 4 ottobre 1907 da madre fervente cattolica (aveva fondato anche un ordine religioso) e padre anticlericale bretone più volte ministro sotto governi socialisti, Alain trascorre l’infanzia in campagna con precettori, un’immane biblioteca e un pianoforte, scoprendo sin da allora la musica e la pittura.
Negli Stati Uniti per gli studi universitari vendeva i suoi quadri e suonava il piano durante la proiezione dei film muti. Ritornato in Francia studiò canto con Panzera, danza classica con Legat, il maestro del grande Nijinski, e infine composizione con Max d’Olonne. Diede dei recital e fece delle mostre.
Molto sportivo, Daniélou è stato campione di canoa e un abile pilota di auto da corsa. Nel 1932 compì un viaggio di esplorazione nel Pamir afgano e nel 1934 partecipò al raid automobilistico Parigi-Calcutta. Fu amico di Cocteau, Diaguilev, Stravinskij, Nabokov e dei principali intellettuali dell’epoca.
Dopo innumerevoli viaggi in Africa e in Oriente si stabilì in India, dove soggiornò dapprima presso il poeta Tagore che gli affidò l’incarico di curare i suoi rapporti con gli amici Paul Valéry, André Gide e Benedetto Croce, e lo nominò direttore della scuola di musica a Shantinketan.
Trasferitosi a Benares, scoprì la cultura tradizionale indiana e per vent’anni si dedicò allo studio della musica classica indiana presso i più grandi maestri. Collaborò anche alla fondazione di un partito politico, lo Janaz Sang, che propugnava la difesa della società indù contro le moderne idee occidentali in forte opposizione al Mahatma Gandhi. Dopo l’indipendenza dell’India fece ritorno in Europa e nel 1963 fondò a Berlino, e nel 1970 a Venezia, l’Istituto interculturale di Studi Musicali Comparati promuovendo la scoperta della musica d’arte asiatica nell’Occidente. Si è spento in Svizzera nel 1994 e, da buon indù, è stato cremato.
Nella sua autobiografia La via del Labirinto (ed Casadeilibri 2004) racconta con divertita ironia il disorientamento che provocava a conoscenti e visitatori della sua casa di Parigi quando interrompeva le sue riflessioni sull’induismo e sulla musica indiana, dicendo che aveva voglia di rilassarsi e scendeva in garage per guidare la sua sportiva preferita.

Di Alain Daniélou vogliamo suggerire Il Giro del Mondo nel 1936 in uscita in questi giorni per la Casadeilibri. Chiediamo a Jacques Cloarec, presidente della Fondazione Alain Daniélou, quale fosse il suo rapporto con le automobili: “All’inizio degli anni ’30 Alain Daniélou incontra lo svizzero Raymond Burnier, un giovane facoltoso col quale intraprende grandi spedizioni, il più delle volte in macchina. In particolare Daniélou ricorda, nell’autobiografia La Via del Labirinto , un avventuroso viaggio dall’Europa fino all’India. Sono entrambi giovani appassionati e per tutta la loro vita guideranno a forte velocità automobili molto potenti.
La prima è la Hispano-Suiza della quale Daniélou disegna la carrozzeria e che finirà abbandonata sui monti Carpazi, dove si era rifiutata di continuare il viaggio. Seguiranno delle Citroën a trazione anteriore, le auto dei gangster dell’epoca, poi una Matford, che vendettero all’attore Jean Marais quando andarono a vivere in India.
Qui fecero arrivare, per la prima volta, una roulotte da Los Angeles; sarà una spider Forda a trainarla durante le spedizioni nella giungla per fotografare i templi abbandonati.
Quando li incontrai nel 1962 Raymond Burnier era già definitivamente conquistato dalla Jaguar: ne acquisterà vari modelli fino alla sua prematura morte nel 1968. Daniélou ha, in questo periodo, una rara Austin-Healey cabrio 4 posti. Poi arriverà una grossa Jaguar e un’immensa Mercedes cabriolet, delle quali non fu mai troppo convinto.
Ma negli anni ’70 scoprimmo entrambi le Porche, diventandone degli appassionati che non avevano occhi per nessun’altra. Comprai inizialmente una 912 poi abbiamo posseduto le prime 911 Targa, alle quali siamo rimasti fedeli. Erano le macchine ideali per inerpicarsi sul S. Bernardo quando viaggiavamo da Roma a Parigi e sul Brennero quando andavamo da Venezia a Berlino. Epoca benedetta! Poche limitazioni alla velocità e traffico assai meno intenso. Daniélou aveva una guida assai nervosa e veloce.
Mi ricordo viaggi da Roma a Venezia in 4 ore, con punte di 230 km/h. La maggior parte delle persone che viaggiarono con lui ricordano quell’esperienza come una delle più paurose della loro vita.
Daniélou non ebbe mai incidenti gravi; ma durante gli anni ’80, quando i limiti di velocità si fecero più frequenti, smise di guidare, poiché si annoiava. La passione per le auto è un aspetto particolare della sua personalità, che sorprende i lettori dei suoi numerosi libri tradotti in italiano, poiché in apparente contrasto con la sua immagine di filosofo, saggio e sapiente”.

Il giro del mondo nel 1936

Il giro del mondo nel 1936
Alain Daniélou
L’avventuroso viaggio di Alain Daniélou e Raimond Bournier nel 1936 corredato dai disegni dell’autore e dalle splendide foto di Burnier. Da New York a Hollywood, la scoperta del Giappone, la Cina misteriosa, i bassifondi di Pechino, e…. l’India in roulotte.

Recensioni

Formato: 21 x 21 cm., Pagine: 156 a colori riccamente illustrato, ISBN: 88-89466-20-9 Prezzo: € 30,00