RECENSIONI KUNIO

ALIAS DOMENICA

Motivi sovrannaturali e strane creature negli scritti di Yanagita Kunio

Bushido e il Cristianesimo

Sasamori Takemi, Bushido e il Cristianesimo

Nel suo libro Bushido e Cristianesimo, uscito per la prima volta in Giappone nel 2013, il rev. Sasamori espone la sua visione con riferimenti alla storia e ai miti del Giappone e agli insegnamenti della Bibbia, sullo sfondo della sua personale storia di uomo cresciuto in una famiglia di origini samurai, nell’intento di mostrare dove dottrine apparentemente molto distanti possono convergere e portare nelle nostre esistenze una maggiore pienezza di significato.

bushido–e-cristianesimo-coverISBN  979-12-80146-12-0

Recensioni LA Campana Sommersa e L’Ascensione di Adele

Levante News LA Voce del Tirreno

UNA MISSIONE PER LA GIUNTA CHE VERRÀ

Rapallo: a Roma “tolgono la polvere” dalla targa di Hauptmann, nume dimenticato da 30 anni

Siamo consapevoli che la posterità di Gerhart Hauptmann sia roba difficile da inserire in un programma elettorale, ma anche il sonno ormai trentennale della memoria di questa Premio Nobel – a cui cento anni fa una Rapallo colta e cosmopolita guardava con ammirazione – ha fatto il suo triste tempo. Consigliamo dunque agli aspiranti assessori o incaricati alla cultura di non lasciarsi sfuggire “La campana sommersa e l’ascensione di Hannele”. Da qui, dalla traduzione di due capolavori del teatro simbolista, si può ripartire per diffondere la conoscenza di Hauptmann al pubblico italiano. La riscoperta del drammaturgo tedesco da parte del mercato editoriale nostrano, di cui va dato merito all’Editore romano “CasadeiLibri” e ai curatori Eduardo Ciampi e Inesa Serbayeva, dovrebbe essere una vera e propria notizia nella città che in Hauptmann – parole e musica del giornalista Carlo Linati – aveva il suo “nume indigete”, la sua divinità protettrice.

La targa affissa nel 1995 sul muro del Palazzo di Via Avenaggi che ne ricorda il primo soggiorno, nel 1925, è oggi lettera morta in cerca di un nuovo “perché”; un “perché” che non dovrebbe essere difficile individuare nella sorprendente attualità dell’autore. Scrivono Ciampi e Serbayeva: “Nella cosiddetta era industriale, il rapporto dell’uomo con la natura viene a mutare radicalmente (…) L’idea della sacralità del creato viene completamente annullata e sostituita dal principio dell’io dominante. L’uomo non è più il perno che mantiene e controlla l’equilibrio biologico e spirituale della terra: è un predatore vorace che la assale, la colonizza e la ferisce”

.Ne “La campana sommersa” – fra debiti goethiani e richiami alla tradizione fiabesca dei fratelli Grimm – va in scena il conflitto fra il cristianesimo e il paganesimo, fra il Dio Personale e l’Assoluto simboleggiato dal Sole, fra il Maestro Enrico e il gli esseri soprannaturali disturbati dall’affaccendarsi dell’uomo, un dramma che indica la necessità di una riconciliazione che ancora interroga la nostra weltanschauung. L’autore tedesco ha anche il merito di esplorare terreni fragilissimi e intrisi di emotività – come la morte per suicidio di una bambina, Hannele – offrendo chiavi di lettura che sottraggono la morte alla visione disperata che ne ha l’uomo moderno: “Il bambino, non separando la vita dalla morte, il sogno dalla realtà, si fida dell’esperienza della sua anima, e non della coscienza empirica di veglia”. In Hauptmann la morte – angelo in veste nera – è forte e bella. E’ difficile distinguerla dalla fiaba. “Il bambino, che vive nel mondo della fantasia (…), attraverso la morte, manifestato sotto forma di fiaba, è liberato dall’incessante obbligo dell’essere (…) Hannele diventa figlia del cielo (…), l’ascensione è un’impennata dell’anima, un’eccitazione festosa”.Agli occhi dell’uomo di oggi Hauptmann si muove sul limite della provocazione e del tabù, sfidando sia la moderna visione scientifica della natura sia il terrore della morte che nutre una società arroccata sulla vita biologica come sua unica, possibile dimensione esistenziale. Qui, nella capacità di condurci oltre gli schemi più usurati del nostro tempo, risiede la sua preziosità. La sua riscoperta è allora qualcosa di più di un vezzo intellettuale o di una vanità di provincia. È una missione spirituale che Rapallo, città priva da decenni di una missione sullo scenario culturale italiano, può prendere sulle sue spalle anche in vista della riapertura delle “Clarisse”, a cui un nume indigete non guasterebbe affatto.

TANGO la danza sconfinata

TANGO LA DANZA SCONFINATA

Il tango da respirare, ascoltare, ballare. Come danza, improvvisazione, condivisa nelle coppie in pista. Non fissato una volta per tutte. E allora, perché scriverne? La scrittura definisce e circoscrive i suoi oggetti e il tango inafferrabile. Ma, se lo si vive, si cerca di farlo proprio, di conoscerlo, di entrare nel suo mistero. In milonga, in scena, sugli schermi, nelle onde e nei ritmi della musica, il tango rinasce ogni notte, viaggia i continenti, cambia musica, instancabilmente. Non solo tacchi e spacchi, bravura mascolina, passione e seduzione – anche – ma geometrie e architetture, ascolto di sé e dell’altro/a, condivisione di un piacere e anche cambio de rol. Il tango personale e universale. 

Il tango diventato nel tempo anche spettacolo, sfida di virtuosi, in palcoscenico, teatro musicale con un gigante come Astor Piazzolla, pop nel mix con l’elettronica. Il tango come danza, il tema che l’autrice ha scelto di indagare a tutto campo, senza limiti né pregiudizi, con la massima apertura e curiosità, in un intreccio di storia e attualità, guardando già al domani.

Elisa Guzzo Vaccarino, laureata in filosofia, formata alla danza accademica e contemporanea, si occupa di balletto e di danza da decenni su quotidiani, attualmente QN, periodici e riviste, Ballet2000, Classic Voice, Fyinpaper online; firma saggi per Fondazioni Liriche e teatri, per booklet di DVD, cataloghi d’arte; collabora con la Biennale Danza e l’ASAC di Venezia, oltre che con ERT-“Carne”, è stata consulente di Torino Danza Festival dal 1987 al 1997 e del Premio Carla Fendi di Spoleto. Ha pubblicato libri su Béjart, Kylián, Bausch, Balanchine, Cunningham, Forsythe, la danza futurista e quella globalizzata, Cuba, il tango, la Geopolitica della Danza, parlando alla radio, RAI 3, realizzando programmi televisivi sui canali satellitari culturali (Tele+3, Rai Sat Show, Rai 5) e curando mostre come La Danza delle Avanguardie al MART di Rovereto-Trento. Ha insegnato Storia ed Estetica della Danza all’Università, in Italia e all’estero, e alla scuola di ballo della Scala, curando poi il coordinamento artistico del MAS di Milano. Dal 2023 fa parte del Consiglio Superiore dello Spettacolo del Ministero della Cultura.

tango

 

PRESENTAZIONE SU RA3 suite magazineI

https://www.raiplaysound.it/audio/2024/06/Radio3-Suite—Magazine-del-24062024-1a06f56f-23f8-4bce-b48d-3baf73bd4762.html

Recensione Neve su foglie vermiglie

ROCKERILLA

luglio 2024

Il riconoscimento dell’unità di tutte le cose (simboleggiato dal bianco della neve) di fronte alla molteplicità dei fenomeni di cui facciamo esperienza (in metafora l’infinita varietà di sfumature vermiglie delle foglie) è al centro della pratica del Dharma e costituisce anche il punto di fuga della poetica meditativa e pacificante del maestro zen Eihei Dögen Zenji (1200-1253), un composto invito – quasi privo di gesto – al distacco dai sentimenti umani attraverso la contemplazione poetica della natura. Il curatissimo volume edito da CasadeiLibri raccoglie waka e kanshi, poesie rispettivamente in giapponese e in cinese, selezionate, tradotte e squisitamente commentate da Shöhaku Okumura con precisione filologica e profonda padronanza della materia e impreziosite dalle eleganti calligrafie di Norio Nagayama. Vivamente raccomandato agli amanti del Paese del sol levante e ai cultori dell’estetica e della filosofia zen.

Alessandro Hellmann

 

SANS FICTION
EIHEI DŌGEN ANTEPRIMA. NEVE SU FOGLIE VERMIGLIE

Una storia semplice: “Una volta Panchan stava camminando per il mercato e vide un cliente che comprava carne di maiale. [Panshan ha sentito il cliente] dire al macellaio: “Tagliamene un bel pezzo”. Il macellaio posò il coltello, rimase in piedi con le mani giunte in shashu e disse: “Signore, quale non è un buon pezzo?” Dopo aver ascoltato queste parole, Panshan ebbe una profonda intuizione”.

L’illusione delle soluzioni facili: “Alla ricerca della spada” si riferisce alla storia di una persona la cui spada cadde in acqua mentre era a bordo di una barca. Questi fece un segno sul lato della barca dove aveva perso la spada. Un’altra persona gli chiese: “Cosa stai facendo?” Rispose: “Cercherò la spada quando la barca raggiungerà la riva”.

È in libreria Neve su foglie vermiglie, la raccolta di poesie del maestro zen Eihei Dōgen commentate da Shohaku Okumura (Casadeilibri 2024, pp. 316, € 23, con traduzione di Michel Gauvain e Lorenzo Casadei).

Eihei Dōgen (1200 – 1253) è stato uno dei più importanti maestri dello zen giapponese, fondatore della scuola buddhista Zen Sōtō. La più diffusa e radicata in Occidente.

Il titolo “Neve su foglie vermiglie” evoca davvero un’immagine suggestiva e profonda, che riflette l’armonia tra unità e molteplicità, concetti fondamentali nella pratica zen. La poesia degli waka, precursori degli haiku, è intrisa di significati stratificati che penetrano nell’animo umano, ma l’autore riesce comunque a comunicare in modo immediato e accessibile attraverso questa forma poetica. La comprensione della poesia diventa così alla portata di tutti, offrendo ai lettori italiani l’opportunità di immergersi nelle profonde metafore del maestro Zen e di esplorare il significato più profondo della vita e della natura.

Tra i molti argomenti trattati, Dogen sottolinea in particolare i seguenti punti: vedere l’impermanenza, allontanarsi dall’io centrato sull’ego, essere liberi dall’avidità, rinunciare all’attaccamento a se stessi, seguire la guida di un vero maestro e la pratica dello zazen, in particolare dello shikantaza, o “stare semplicemente seduti”. Inoltre, questa traduzione dello Shobogenzo Zuimonki è corredata da ampie note che contribuiscono a fornire un nuovo modo di avvicinarsi al testo.

Raramente viste in una raccolta così ampia o con un commento, queste poesie offrono una visione unica degli insegnamenti di Dogen e sono una bellissima espressione artistica del Dharma.

Carlo Tortarolo

La Riconocenza

La Riconoscenza

Fernando Marchiori

La riconoscenza

 

Un anziano professore di storia ‘imbatte in una pergamena medievale della quale cerca di ricostruire la singolare vicenda:

trafugata nel corso della Prima guerra mondiale da un castello sulle colline trevigiane, è finita nelle campagne boeme dentro lo scarpone di un soldato in fuga. Ma mentre ricompone l’epopea misconosciuta della Legione Cecoslovacca in Italia, il professore tradisce i segni della demenza senile. Vuole disperatamente raccontare questa storia, ma la sua memoria sdrucciola sul territorio dell’invenzione. Il romanzo storico diventa così la storia di un romanzo impossibile. A meno che qualcuno non provi a riannodarne i fili per un’altra trama.

«Un romanzo come se ne leggono pochissimi oggi. La scrittu-la è raffinata, vivida, smagliante: sa come gettarci nel mezzo di un campo di battaglia di un secolo fa o nella casa di un vecchio infermo di oggi, facendoci provare quasi fisicamente le sensazioni più intollerabili e le premure più delicate. Quel che lascia il segno è soprattutto il passaggio di testimone fra i protagonisti, padre e figlio: il dovere (che può diventare anche una forma di felicità) di raccontare, sempre, non solo la nostra storia, ma anche quella di chi ci ha preceduti e che, impastandoci in quella stessa storia, ci ha resi ciò che siamo..»

Tiziano Scarpa

 

Fatti di Acqua

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Questo libro è l’ultimo di una quadrilogia dedicata agli elementi, in cui il maestro zen Fausto Guareschi ha raccolto discorsi e scritti di una pratica iniziata 50 anni fa. 

L’acqua vi è richiamata come rugiada, pioggia, fiume, mare. Le stesse pagine hanno un andamento liquido, che ora affiora, ora è sommerso e in cui, come nei precedenti volumi, l’identità  del narratore si frantuma in  rivoli ed eteronimi, alternando la riflessione filosofica, al racconto autobiografico.

Dalla Prefazione di Tiziana Verde

 

Là dove sono presenti Buddha e Patriarchi, l’acqua è sempre presente. Dove c’è acqua, Buddha e Patriarchi sempre si realizzano come presenza. A partire da ciò, sempre triturandosi, fanno dell’acqua il loro corpo, il loro cuore e i loro pensieri. Pertanto non è detto nelle scritture buddiste o nelle scritture non buddhiste che l’acqua non salga verso l’alto. La via dell’acqua penetra ovunque su e giù, sia verticalmente che orizzontalmente. 

Dōgen Zenji Shōbōgenzō Sansuikyō.

Recensione Hanaujo Leggere Tutti

I fiori della compassione

di Andrea Coco

Aoyama Shundō è una maestra e monaca zen giapponese, autrice di numerosi libri, che, attraverso l’attività di insegnamento della Via dei Fiori (kadō), contribuisce alla diffusione di concetti dello Zen comprensibili anche al grande pubblico. Nel nostro paese le opere dedicate a presentare la “Via dei Fiori” come via spirituale sono assai poche e, a parte un paio di testi, i libri disponibili analizzano solo l’aspetto tecnico-artistico di questa pratica, tralasciando del tutto o accennando in maniera superficiale alla sua origine e al suo profondo legame con la dottrina buddhista. A compensare questo vuoto interiore, la casa editrice “CasadeiLibri” ha pubblicato in Italia “Hanaujō. I Fiori della Compassione”, un’opera formata da una raccolta di fotografie artistiche, eleganti creazioni floreali create Aoyama Shundō, le quali servono a sviluppare riflessioni che vanno oltre la semplice esposizione artistica e tecnica. Ci si trova di fronte, piuttosto, a una pratica di meditazione, di comprensione di sé stessi, della natura, dello spazio che ci circonda e della nostra percezione, insomma di fronte a un cammino di elevazione spirituale secondo i principi dello Zen. Le bellissime immagini, la poesia e l’apparente semplicità delle riflessioni della Aoyama Shundō, in realtà punto partenza di un viaggio spirituale destinato ad andare lontano, fanno di quest’opera un testo che può essere apprezzato da chiunque, seguaci del Buddhismo come semplici lettori che non abbiano conoscenza o interesse verso questa religione. Testi solo in apparenza semplici ma che per apparire tali hanno richiesto l’intervento di Watanabe Koji, traduttore professionista, che ha una conoscenza profonda del Buddhismo e della cultura giapponese. Insomma, un’opera pregevole che l’intervento grafico della CasadeiLibri ha saputo rendere ancora più preziosa, meritevole di essere letta perché “In ciascuno di noi alberga anche la mente/cuore compassionevole di un fiore ovvero la mente/cuore di Buddha”.

Perché la vita dura un istante… Wall Street Int.

Paesaggio-acqua-cielo-e-neveLa via dei fiori

Perché la vita dura un istante…

24 DICEMBRE 2021,
Wall Street International Magazine
in https://wsimag.com/it/scienza-e-tecnologia

Alcuni anni fa mia madre mi regalò una delicata piantina con fiori azzurro intenso, dal nome comune poco entusiasmante “erba miseria asiatica”: ogni volta che ricevo in dono una pianta, un seme o un bulbo sconosciuto mi riempio di gioia e mi affido a quello che potrà trasferirmi la nuova vita vegetale. Questa tenera erbacea annuale la si apprezza soprattutto al mattino quando sfodera dei piccoli occhi blu con un tocco di giallo al centro, che svaniscono prima che il giorno si concluda. La sua forza vitale sta nel seme capace di riprodursi facilmente, anche più volte nell’arco di una stagione, tappezzando metri e metri di prato incurante di altre che possano competere. Effimera e invadente è temuta dalle giardiniere e dai giardinieri mentre la scopro molto amata da Shundō Aoyama, monaca giapponese, maestra di Sadō, la Via del Tè, e maestra di Kadō, la Via dei Fiori, che dispone la docile piantina, Truyukusa in giapponese e Commellina communis in latino, in una brocca di acqua per accogliere i suoi ospiti alla mattina presto.

“La maggior parte di loro appassisce nel tempo di una chiacchierata durante il tè – commenta Aoyama – una volta sfiorita non fiorirà mai più e proprio perché fugace come goccia di rugiada la vita ci è tanto cara e infinitamente bella”. Quest’ultimo uno degli aforismi in cui l’autrice di Hanaujō. I fiori della compassione1, menziona le parole di Buddha Śākyamuni. Il volume, denso di profondi significati e frutto dell’operosa ed elegante arte giapponese del comporre i fiori, si snoda lungo quattro stagioni, in cui l’autrice gioca e cresce spiritualmente in un costante dialogo con la natura.

La felicità e la pienezza di vita che scaturiscono dalla opportunità di vivere tra i fiori si coglie in ogni pagina a cui Aoyama dedica una considerazione ispirata e nutrita dalla compassione dei fiori. Le incantate montagne di Shinanoji nella prefettura di Nagano è uno dei luoghi in cui l’autrice ha avuto la fortuna di crescere in libertà, un privilegio a suo dire che le ha consentito di apprezzare e conoscere fin da giovane – a cinque anni entra nel tempio buddista Muryōji della scuola Sōtō – i rigogliosi fiori di campo “senza sapere di esserci dentro abbracciata dal cielo vuoto libera come una nuvola”.

Cerca con cura e rigore, guidata da uno spirito di accoglienza e attesa del sacro, la giustapposizione di fiori che la mattina o un momento propizio della giornata si presentano a lei, ricevendone l’essenza fino a renderli ancor più “vivi” e significanti di quanto forse lo erano prima di averli colti. Chiedendo perdono ai fiori per l’impazienza e l’incapacità, li dispone in vasi, contenitori e spazi diversi, anch’essi pieni di significati e simboli della tradizione giapponese. Il cesto per cormorani, il porta dolci a forma di ventaglio, il setaccio, il cesto per l’essiccazione delle pugne, il guscio di un mollusco gigante, i vasi artistici antichi come quello di Kotamba, caratteristico della prefettura di Hyogo (Tomba), quelli invece ricavati artisticamente dal bambù o da legno di cedro o perfino le eleganti ciotole indiane.

Sull’arte e sul sentimento dell’impermanenza (sabi) si sofferma in diversi passaggi dedicati a fiori differenti. Il disporre fiori, perituri e impermanenti, esige uno spirito di rinuncia all’attaccamento alla vita materiale e alle cose in quanto tali; ebbene, tutto ciò che richiede molto impegno, energie e fatica, appare sensato, con una visione occidentale se permane nel tempo a testimoniare un operato, un’ingegnosità, un talento. “Le persone desiderano lasciare qualcosa che testimoni il fatto di essere esistiti”.

Quest’anno, ho potuto apprezzare per la prima volta germogli di bambù colti in giardino, un regalo della natura a primavera inoltrata. Aoyama acutamente osserva:

Il germoglio di bambù, che spunta dalla terra vestendo il Jūnihitoe2, si libera a uno a uno dei suoi strati fino a denudarsi, e attraverso una pratica di svuotamento cresce e si allunga verso il cielo. Nonostante gli uomini cerchino di afferrarlo e trattenerlo”. Iniziare dal vuoto, “dentro l’anello di bambù il vuoto”, è principio per iniziare un cammino di crescita interiore e spirituale; se non mi svuoto liberandomi dai miei pensieri potrò solo perdere le storie più belle, perché esse traboccheranno dalla mia mente troppo affollata. Gli stessi fiori possono riempire solo uno spazio vuoto che accolga l’acqua dove disporli. Fare spazio dentro di sé significa, come in più passi sottolinea l’autrice, preparare la mente ad accogliere nuova linfa e nuova energia.

In autunno, quando disponevo di un giardino, ho sempre provveduto a raccogliere foglie e piccoli rametti secchi per creare un buon compost per la stagione successiva, in una posizione non troppo visibile non so per quale consolidata ragione; tra le innumerevoli intuizioni che ho colto nella lettura de I fiori della compassione, grazie alle preziose e numerose annotazioni esplicative di traduzione e di edizione, scopro che in Giappone chirana è una cavità di forma circolare o quadrata ricavata nel terreno del giardino per raccogliere le foglie morte o i piccoli rifiuti con finalità colturali ma soprattutto estetiche! Penso invece a come nella nostra cultura occidentale le foglie morte siano reiette e quasi maledette da tutti. Benché tutto abbia un inizio e una sua fine “l’apprezzare ciò che cade” significa, per esempio, stupirsi di fronte ad un bocciolo di camelia appena caduto sul muschio dall’indicibile bellezza. Come soffermarsi in novembre sulla vista di un ramo spoglio mentre l’eccentrica foglia di gelso vestita di rosso fuoco si è appena appoggiata sul soffice terreno gelato.

Il Kadō giapponese viene inteso dall’autrice come il disporre la vita intera in un vaso di fiori; “vivere accettando il tutto positivamente e rappresentare simbolicamente questo modo di intendere la vita in un vaso di fiori”. Scorrendo fra le pagine dei suoi mille pensieri e aforismi, meditati, stimolati e nutriti da una lunga esperienza di studio e pratica delle arti in cui è maestra, ci si può perdere e accorgersi di trovarsi come osservatori di un giardino, di un angolo di casa, di un piccolo tempio, creato per noi per godere dei colori, delle forme della natura così ben disposta con arte raffinata da renderci partecipi e commossi. Le immagini sono notevoli fotografie di Kamio Kenshirō e Nagata Yutaka e completano per ogni stagione le numerose pagine che raffigurano una tappa importante del cammino di una monaca cinquantenne che anche dopo molti anni, oggi ne ha ben 88, ha voluto mantenere quel “frammento” di se stessa con la speranza che i lettori potessero prestare ascolto al racconto dei fiori regalandole una gioia inaspettata.

Il suo spirito di accoglienza si ispira, tra i tanti Maestri, anche al pensiero di Kōdō Sawaki Roshi (1880-1965) monaco zen tra i più importanti del XX secolo: “accolgo tutto non faccio scelte”, senza inseguire senza scappare. Questo splendido testo nel suo complesso e articolato contenuto oltre a rappresentare, per chi scrive, l’anelito a percorrere con sincerità la Via degli Uomini e la Via del Buddha, seguendo i maestri della tradizione, dà prova, con elegante abilità, di una conoscenza di fiori e piante a volte insolite per i nostri climi, indicandone nomi comuni in italiano e giapponese e talvolta latini con la classificazione in genere e specie: dalle splendide peonie alle delicate orchidee spontanee, alle bulbose come iris di campo, clematidi selvatiche, calicanti invernali ed estivi dai fiori color porpora e al profumo del mosto, alle delicate acquatiche come Houttuynia cordata chiamata anche foglia cuore o menta di pesce, usata nella medicina tradizionale cinese anche contro malattie virali. Proprio le acquatiche ninfee, così effimere nella loro vita affidata al tempo di una breve fioritura mattutina, non aspettano la mano che tenta di immortalarle con un rapido scatto e questo essere incuranti del nostro tentativo di bloccare quell’attimo ci rammenta le parole del Maestro Eihei Dōgen (1200-1253):

La vita scorre tra luci e ombre
e non si arresta nemmeno un istante.

(Da Shōbōgenzō, cap. 17 “Immo”)3

Note

1 Aoyama Shundō, Hanaujō. I fiori della compassione, CasadeiLibri, Padova 2021, trad. di Watanabe Koji.
2 Il kimono a 12 strati, (Jūni dodici, hitoe strati).
3 Immo, lett. “Ciò che è”, traduce il sanscrito tathatā e rappresenta la natura assoluta e indifferenziata di tutte le cose.