Recensioni
L’Islam tradizionale nel mondo moderno

Il Padova del 25/03/2007

Dalla Prefazione alla prima edizione: «Il crescente interesse nei riguardi dell’Islam, manifestato negli ultimi anni da molti occidentali, invece che favorirne la conoscenza nei suoi molteplici aspetti, ha spesso creato una certa confusione che la passione suscitata dall’argomento e i vari interessi di parte hanno ulteriormente alimentato. Fino a qualche decennio fa i musulmani potevano lamentarsi unicamente delle deformazioni presenti negli studi di orientalisti e islamisti, o della scarsa attenzione da parte occidentale per tutto ciò che era Islam. Oggi, grazie al sincero tentativo di alcuni musulmani di riaffermare il carattere originario della propria tradizione e di preservarla, ma anche, sfortunatamente, in seguito alle sgradevoli strumentalizzazioni dell’Islam da parte di varie forze politiche, quest’indifferenza è sicuramente diminuita. Tuttavia, nuovi fraintendimenti sono andati ad aggiungersi a quelli “classici” degli orientalisti.
Una notevole quantità di articoli scritti in nome dell’approfondimento scientifico (o che si presentano come tali) sono ormai disponibili; esiste una lettura di sinistra, spesso esplicitamente marxista, che dalla sfera propriamente comunista si è diffusa in Occidente e anche in alcune aree del mondo islamico; c’è poi il sedicente risveglio islamico detto “fondamentalista” che è oggetto di molta attenzione mediatica in tutta Europa, giocando un ruolo non trascurabile, sia a parole che nei fatti, nella formazione dell’immagine dell’Islam in Occidente.
Come risultato di queste e altre interpretazioni contemporanee, il compito di comprendere l’Islam così com’è stato vissuto e conosciuto tradizionalmente attraverso i secoli diventa sempre più arduo. C’è chi ne dà un’interpretazione marcatamente occidentale, chi una modernista e chi si occupa dell’ ampio spettro di fenomeni che di solito vanno sotto il nome di fondamentalismo. Ma quanti parlano dell’Islam tradizionale che, nel corso di quattordici secoli di storia, è stato rappresentato da teologi e giuristi, filosofi e scienziati, artisti e poeti, sufi e semplici fedeli? L’Islam che, di fatto, ancora oggi, rappresenta la maggioranza dei musulmani, dall’Atlantico al Pacifico?
È per colmare questa lacuna, per chiarire cos’è l’Islam autentico, che questo libro, come del resto anche tutti gli altri nostri lavori, è stato scritto. Quasi ogni giorno sorge qualche nuova questione sulla quale è richiesto il punto di vista islamico. Generalmente, la risposta è data in senso moderni sta o “fondamentalista” da chi, solo perché islamico, pensa di avere le credenziali per farlo, oppure in chiave accademica da qualche islamista occidentale che, a dire il vero, a volte lo fa in modo più equilibrato, proprio perché non è personalmente coinvolto nei conflitti intellettuali che agitano il mondo musulmano. In ogni occasione in cui ci è stato possibile, noi abbiamo cercato di fornire il nostro modesto contributo ad una migliore conoscenza dell’Islam in Occidente presentando il punto di vista tradizionale.
In alcuni dei nostri libri precedenti, specialmente in Islam and the Plight of Modern Man e in Islamic Life and Thought ,abbiamo già presentato degli studi su numerosi aspetti dell’Islam tradizionale di fronte al mondo moderno. In questo libro continuiamo a farlo concentrandoci maggiormente sul contrasto tra l’Islam tradizionale, il suo revival e le manifestazioni “fondamentaliste” caratteristiche dell’epoca contemporanea; a tal fine abbiamo preso in considerazione alcune istanze particolarmente significative per il mondo musulmano stesso e per la sua comprensione da parte dell’Occidente, a cominciare dallo studio della natura dell’Islam tradizionale propriamente detto contenuto nel Prologo.
La prima parte del libro si occupa degli aspetti di base della tradizione islamica attualmente più dibattuti, a cominciare dal significato di jihad, un termine ormai entrato nel lessico occidentale ma ampiamente frainteso e spesso intenzionalmente interpretato negativamente. Poi si passa allo studio dell’etica del lavoro così com’è descritta nelle fonti tradizionali e vissuta all’interno delle società tradizionali; distinguendo tra i due piani, cerchiamo di sottolinearne la validità permanente. Nel saggio successivo l’attenzione è volta all’ostica questione della relazione tra maschile e femminile, studiata sia nella sua dimensione profonda che nei suoi risvolti sociali. Senza arrenderci ai clichés correnti ma accettando la sfida posta all’Islam circa il ruolo e la posizione delle donne, abbiamo cercato di fornire una conoscenza delle basi metafisiche e psicologiche della relazione uomo/donna sulla quale, secondo la concezione islamica, si reggono tutte le relazioni sociali. Alla fine della prima parte, cerchiamo di chiarire cos’è lo Sciismo sviluppatosi nella Persia safavide come religione di Stato, al fine di fornire il bagaglio culturale necessario ad un approfondimento teologico e storico. Ciò è indispensabile per capire il ruolo dello Sciismo nell’Islam di oggi e nell’intero Medio Oriente.
La seconda parte entra direttamente nel merito del confronto tra l’Islam tradizionale e il modernismo, a cominciare da uno studio generale sull’Islam nel mondo musulmano contemporaneo e sui differenti rapporti esistenti tra le diverse forze e correnti che lo attraversano: tradizionali, “fondamentaliste” e moderniste. Seguono alcune riflessioni sulla relazione tra gli aspetti intellettuali dell’Islam tradizionale e il pensiero moderno, e sull’impatto che ha la tradizione sulla vita intellettuale dei musulmani d’oggi. A conclusione un capitolo è dedicato a un’istanza centrale nella lotta tra le varie forze intestine dell’Islam: il significato dello “sviluppo” nel contesto dei valori islamici.
La terza parte, la più lunga, è volta allo studio delle tensioni presenti, in diversi contesti culturali, tra l’Islam tradizionale e il modernismo. Ci occupiamo principalmente della formazione culturale, tema capitale in molti paesi islamici e in particolare della filosofia, il cui insegnamento, di importanza cruciale, riflette il conflitto tra modernismo e tradizione. Infine, parliamo di architettura e urbanistica, due discipline strettamente correlate che sono oggetto di uno scontro e di un dibattito appassionato nel mondo islamico, e che hanno un grande impatto religioso e culturale sulla vita dell’intera comunità.
La parte finale di questo libro è dedicata a tre interpreti occidentali eccezionali dal punto di vista del loro contributo agli studi sull’Islam; il primo è un cattolico [Louis Massignon], il secondo un protestante [Henry Corbin] e il terzo un musulmano [Titus Burckhardt]. Questa parte, oltre a cercare di sottolineare il valore dell’opera di questi studiosi, punta a dimostrare che l’Islam tradizionale, contrariamente al modernismo e al “fondamentalismo”, giudica gli studi occidentali in base a criteri oggettivi e non etno-geografici. Infatti, la prospettiva tradizionale, pur rimanendo critica verso le deformazioni contenute negli studi degli orientalisti, non si permette asserzioni offensive solo per il fatto che l’autore preso in considerazione è un occidentale; tanto meno loda, gravata da qualche complesso di inferiorità, uno studio sull’Islam semplicemente perché scritto in una qualsiasi lingua occidentale o perché usa tutto il classico armamentario della ricerca universitaria moderna. Questi saggi sperano di chiarire cosa la ricerca occidentale sull’Islam potrebbe fare per favorirne una migliore comprensione, basata su empatia e affetto, senza che vengano compromessi il rigore della ricerca né (ciò che è ancora più importante) sminuito quanto è dovuto al vero.
Benché il futuro, in una prospettiva islamica, appartenga a Dio e Lui solo ne abbia piena conoscenza, c’è oggi un tale interesse verso l’avvenire del mondo islamico e per le varie proiezioni possibili a partire dall’osservazione delle tendenze attuali, che abbiamo dato spazio anche a questo argomento scottante. L’ultimo saggio, infatti, si occupa delle tendenze attuali nel mondo musulmano e di come queste potranno svilupparsi nell’immediato futuro. Abbiamo scritto tutto questo nella piena consapevolezza che tutto lo scibile umano è incapace di prevedere i precisi momenti e i modi in cui la volontà di Dio si manifesta nella Storia. Bisogna dunque avere l’accortezza di riconoscere che di queste cose Dio è il più sapiente. […] Speriamo che questa raccolta di saggi contribuisca ad una migliore conoscenza in Occidente dell’Islam tradizionale e anche che possa renderne gli insegnamenti più facilmente accessibili a quei musulmani che, per educazione e formazione, li troverebbero troppo ostici se espressi con un linguaggio tradizionale. Ogni passo verso una migliore comprensione dell’Islam e dell’Occidente non può che essere di reciproco giovamento per entrambi i mondi, i cui destini sono intimamente correlati, in modi forse non sempre evidenti ma che abbracciano la vita spirituale, artistica e intellettuale, così come la politica e l’economia, vale a dire tutto quello che costituisce il tessuto stesso della vita interiore e della storia umana che si dipana nel tempo e nello spazio».
Una Nota editoriale su «Cultura tradizionale e anti-tradizione» opportunamente puntualizza, a conclusione del volume ed a mo’ di postfazione, il significato e la collocazione dell’opera di Nasr rispetto alle più appariscenti correnti dell’odierno fondamentalismo islamico, colto nei suoi aspetti anti-tradizionali, e ne registra i limiti di consonanza con le individualità che in Occidente hanno operato nel corso degli ultimi cento anni per una reviviscenza del pensiero tradizionale. Essa va segnalata perché esplicita aspetti forse non immediatamente recepibili dal lettore attraverso la lettura di questo singolo volume e ne favorisce l’inquadramento in un contesto più complesso.
Al di là di qualsiasi valutazione critica, favorevole o sfavorevole, si pone una domanda all’Editore: perché non facilitare l’approccio del lettore ad un’opera non priva di asperità, completandola mediante la modesta fatica richiesta dalla compilazione di un indice dei nomi?

Da Archiviostorico

IL LIBRO – Scritto da uno dei più noti studiosi islamici, questo libro dà una chiave di lettura dell’Islam contemporaneo dal punto di vista tradizionale che merita d’esser meditata da tutti coloro che si interessano alla questione islamica. Il volume, che spazia dalla politica all’urbanistica, dalla pedagogia alla gnosi, offre infatti un inedito angolo visuale secondo il quale il fondamentalismo appare come l’altra faccia del modernismo.

 

DAL TESTO – “La tradizione è […] come un albero le cui radici affondano, attraverso la rivelazione, nella Natura divina da cui proviene la linfa che, nei secoli, ne ha alimentato il tronco e i rami. Nel cuore dell’albero della tradizione abita la religione. La sua linfa è la grazia ovvero la barakah che, originata con la rivelazione, rende possibile la vita dell’albero. La tradizione implica il sacro, l’eterno, la verità immutabile, la saggezza perenne e l’applicazione continua dei principi immutabili alle mutevoli condizioni di spazio e tempo. La vita terrena di una rivelazione può esaurirsi. Anche le civiltà tradizionali infatti decadono ma normalmente questa decadenza, come pure la presenza di scuole di pensiero in contrasto tra loro, resta nell’ambito della tradizione. Ciò che invece è direttamente opposto alla tradizione è la contro-tradizione […] e, naturalmente, il modernismo, senza la cui esistenza non ci sarebbe bisogno del termine tradizione. Se i tradizionalisti insistono su questa opposizione assoluta tra tradizione e modernismo è precisamente perché la vera natura del modernismo crea nel campo della religione e della metafisica un’immagine sfocata all’interno della quale una mezza verità appare come verità e di conseguenza l’integrità della tradizione viene compromessa”.

Recensioni La via del Labirinto

Il Sole 24 ore del 6/04/2008
In principio era il piacere
di Giuliano Boccali

Alain Daniélou svelò in Occidente il segreto delle rappresentazioni erotiche dei templi indiani; il «kama», la forza primordiale che lega gli amanti e fa incontrare individuale e universale

Figlio di un ministro anticlericale e di una madre cattolica attivissima, fratello di Jean futuro cardinale e accademico di Francia, ne1 1936 Alain Daniélou (Neuilly-sur-Seine, 4 ottobre 1907 – Lonay, 27 gennaio 1994) ha alle spalle esperienze tanto intense quanto disparate: frequentazioni d’avanguardia, lezioni di danza con Nicolas Legat, il maestro del “volante” Nijinski, viaggi esotici: l’Afghanistan, poi l’Algeria dalla quale il Governatore generale lo espelle per la non celata simpatia verso gli “indigeni”, purtroppo sequestrandogli il diario mai più ritrovato; Calcutta nel 1935 in auto, una Ford spider! Più volte il Bengala, per ascoltare Tagore nella sua università, a Shantiniketan.

Irrequieto e mondano, curioso di Paesi lontani, ma certo anche di quello della propria interiorità, nel 1936 è invitato a Hollywood dal celebre (e per l’ epoca molto bizzarro) dietologo Gayelord Hauser; è il pretesto per un giro del mondo, che Pierre Gaxotte, caporedattore di «Candide», lo incarica di narrare. Quei resoconti con fotografie del suo compagno di viaggio Raymond Burnier e disegni dello stesso Daniélou sono ora pubblicati in italiano da CasadeiLibri con il titolo Il giro del mondo ne1 1936. Con scelta felice, l’editore accoppia a quest’uscita un breve testo, La scoperta dei templi. Arte ed eros dell’India tradizionale, che raccoglie tre saggi per l’epoca (anni Trenta, poi 1947-1949) davvero precorritori. Anche questo volumetto è impreziosito dalle fotografie di Burnier, che furono di fatto le prime a rivelare al mondo le fantasmagoriche figure dell’architettura e della scultura templare del sub Continente.
Rapidi ma non frettolosi, arguti senza mai essere acidi, i diari del viaggio affidano al colpo d’occhio delle visioni e all’immediatezza delle emozioni considerazioni mai banali. Sintetici e a piatto, i disegni ricordano vivacemente quelli di alcuni maestri coevi, fra i quali perfino Matisse.
La maggior parte dei capitoli è dedicata ai Paesi asiatici: il Giappone «proprio come lo hanno descritto i suoi pittori. Gli abeti si contorcono con arte e, in lontananza,il FujiYama galleggia su una piana di lacca»; la Cina a Shanghai, dove la plebe immensa costituisce come «un humus fecondo (dal quale) si innalza la città più moderna del mondo, con i suoi innumerevoli grattacieli, gli alberghi di lusso, i locali notturni, i malavitosi e le sue incalcolabili ricchezze» (scrive, ricordiamo, nel 1936). Eletta è l’India, come si vedrà, dove l’arrivo a Benares provoca una considerazione indimenticabile sulle reazioni di chi «è uno spirito borghese» e dal viaggio non imparerà nulla o di chi invece, sentimentale e dotato di rendite, «si precipita alla Società Teosofica per indossare un saio, prudentemente disinfettato da ogni microbo…».

Caustica questa volta e molto condivisibile, Daniélou il diritto a questa considerazione se lo guadagna intero: smette i panni dell’intellettuale europeo colto e snob, di grande famiglia e di carattere ribelle; per tre lustri riveste a Benares quelli del discepolo, sottoponendosi a un insegnamento tradizionale. Si proibisce per anni di usare altro che la hindi e il sanscrito, si abitua a «vivere e pensare esattamente alla maniera indù», prende lezioni accoccolato ai piedi del maestro, per salutare il quale ci si prostra, a una certa distanza, sul ventre. Oltre alle filosofie, allo yoga, al tantrismo, studia in particolare la musica classica indiana, fino a diventare Direttore aggiunto del Collegio di musica dell’Università di Benares. Dopo il ritorno in Europa, con la missione di mostrare l’induismo nella sua autentica realtà, fonda a Berlino poi a Venezia (1963 e 1970) l’Istituto Internazionale di Studi Musicali Comparati.

Proprio per l’integrazione di esperienze opposte – quella dell’intellettuale europeo e quella interna all’induismo profondamente assorbita in India – i contributi di Alain Daniélou, sovente pionieristici, sembrano talora non poter distinguere le diverse prospettive, quella dello studioso e quella del praticante convinto. Ma è solo l’ombra di un alto pregio, poiché riflettono un processo personale di crescita e di conoscenza genuino, tenace, sempre sorretto dalla capacità di mettersi in discussione, di sperimentare concretamente, di pagare personalmente. Fra i temi numerosi cui Daniélou si è dedicato (mitologia, musica, storia e sociologia dell’India), i volumi da poco pubblicati offrono considerazioni penetranti soprattutto sull’arte e sulle raffigurazioni erotiche templari. Giudicate scandalose appena conosciute in Occidente, come pure da hindu di prima grandezza educati all’occidentale – Gandhi e Nehru fra i primi – queste raffigurazioni evocano per Daniélou il kama , “piacere”, forza primordiale da cui si sprigiona l’intera manifestazione e alla quale ciascun essere irresistibilmente anela ritornare. Simboleggiata e favorita, secondo alcune correnti, dall’atto d’amore, la sua realtà piena è la «condizione ultima nella quale l’individuo e l’Universale cessano di essere separati», condizione dove «colui che abbraccia il Sé non conosce né il dentro né il fuori». Di questa realtà le coppie di amanti di pietra silenziosamente immerse nell’abbraccio sono l’immagine.

Alain Daniélou, «Il giro del mondo nel 1936», CasadeiLibri Editore, Padova, pagg.156, €30,00;

«La scoperta dei templi. Arte ed eros dell’India tradizionale», CasadeiLibri Editore, Padova, pagg. 48, € 6,00.

Da ricordare il volume autobiografico:

Alain Daniélou, «La Via del Labirinto. Ricordi d’Oriente e d’Occidente»

Carta – n. 15 anno 2005
A spasso nel novecento con Daniélou
di Umberto Zona

“Sono un frondista per natura, tendo sempre a oppormi all’ideologia dominante […], ma non sono un profeta e d’altra parte la mia barba si rifiuta di crescere”.

È quanto Alain Daniélou dice di sé nella sua autobiografia, “La via del Labirinto”, fin qui inedita in Italia e ora pubblicata, in una edizione accurata, dalla neonata CasadeiLibri. Leggendola, vi ritroverete alle prese con un avvincente e coltissimo on the road lungo le rotte del Novecento. Daniélou fu ballerino nella Parigi degli anni ‘trenta, frequentatore delle avanguardie artistiche e letterarie europee e viaggiatore instancabile. Il suo nomadismo riflette il suo straordinario eclettismo. Fu musicista, pittore, scrittore e studioso delle arti e delle filosofie orientali. In particolare dell’induismo, cui si convertirà nel corso del suo soggiorno in India, trascorso prima alla scuola di Tagore e poi come ricercatore all’università di Benares. Eccellente etnomusicologo, si deve a lui una monumentale raccolta, realizzata per l’Unesco, di musiche popolari della tradizione orientale, africana ed extraeuropea. Ma chi si aspetta le memorie di un accademico rimarrà spiazzato dal fiume di avventure e annotazioni personali, politiche e di costume, riportate con un irresistibile sense of humor. Tra una galleria di ritratti politically incorrect di molti tra i protagonisti del secolo scorso, lo inseguirete tra salotti hollywoodiani e postriboli asiatici, storditi da quella gioia di vivere che in Daniélou, tiene insieme il sacro e il profano e pare annunciare la venuta di quel Dionisio vittorioso pronto a “trasformare il mondo in una vacanza”.

 

Marie Claire
I labirinti di un ribelle
di Micaela Zucconi Fonseca