Recensioni La via del Labirinto

Il Sole 24 ore del 6/04/2008
In principio era il piacere
di Giuliano Boccali

Alain Daniélou svelò in Occidente il segreto delle rappresentazioni erotiche dei templi indiani; il «kama», la forza primordiale che lega gli amanti e fa incontrare individuale e universale

Figlio di un ministro anticlericale e di una madre cattolica attivissima, fratello di Jean futuro cardinale e accademico di Francia, ne1 1936 Alain Daniélou (Neuilly-sur-Seine, 4 ottobre 1907 – Lonay, 27 gennaio 1994) ha alle spalle esperienze tanto intense quanto disparate: frequentazioni d’avanguardia, lezioni di danza con Nicolas Legat, il maestro del “volante” Nijinski, viaggi esotici: l’Afghanistan, poi l’Algeria dalla quale il Governatore generale lo espelle per la non celata simpatia verso gli “indigeni”, purtroppo sequestrandogli il diario mai più ritrovato; Calcutta nel 1935 in auto, una Ford spider! Più volte il Bengala, per ascoltare Tagore nella sua università, a Shantiniketan.

Irrequieto e mondano, curioso di Paesi lontani, ma certo anche di quello della propria interiorità, nel 1936 è invitato a Hollywood dal celebre (e per l’ epoca molto bizzarro) dietologo Gayelord Hauser; è il pretesto per un giro del mondo, che Pierre Gaxotte, caporedattore di «Candide», lo incarica di narrare. Quei resoconti con fotografie del suo compagno di viaggio Raymond Burnier e disegni dello stesso Daniélou sono ora pubblicati in italiano da CasadeiLibri con il titolo Il giro del mondo ne1 1936. Con scelta felice, l’editore accoppia a quest’uscita un breve testo, La scoperta dei templi. Arte ed eros dell’India tradizionale, che raccoglie tre saggi per l’epoca (anni Trenta, poi 1947-1949) davvero precorritori. Anche questo volumetto è impreziosito dalle fotografie di Burnier, che furono di fatto le prime a rivelare al mondo le fantasmagoriche figure dell’architettura e della scultura templare del sub Continente.
Rapidi ma non frettolosi, arguti senza mai essere acidi, i diari del viaggio affidano al colpo d’occhio delle visioni e all’immediatezza delle emozioni considerazioni mai banali. Sintetici e a piatto, i disegni ricordano vivacemente quelli di alcuni maestri coevi, fra i quali perfino Matisse.
La maggior parte dei capitoli è dedicata ai Paesi asiatici: il Giappone «proprio come lo hanno descritto i suoi pittori. Gli abeti si contorcono con arte e, in lontananza,il FujiYama galleggia su una piana di lacca»; la Cina a Shanghai, dove la plebe immensa costituisce come «un humus fecondo (dal quale) si innalza la città più moderna del mondo, con i suoi innumerevoli grattacieli, gli alberghi di lusso, i locali notturni, i malavitosi e le sue incalcolabili ricchezze» (scrive, ricordiamo, nel 1936). Eletta è l’India, come si vedrà, dove l’arrivo a Benares provoca una considerazione indimenticabile sulle reazioni di chi «è uno spirito borghese» e dal viaggio non imparerà nulla o di chi invece, sentimentale e dotato di rendite, «si precipita alla Società Teosofica per indossare un saio, prudentemente disinfettato da ogni microbo…».

Caustica questa volta e molto condivisibile, Daniélou il diritto a questa considerazione se lo guadagna intero: smette i panni dell’intellettuale europeo colto e snob, di grande famiglia e di carattere ribelle; per tre lustri riveste a Benares quelli del discepolo, sottoponendosi a un insegnamento tradizionale. Si proibisce per anni di usare altro che la hindi e il sanscrito, si abitua a «vivere e pensare esattamente alla maniera indù», prende lezioni accoccolato ai piedi del maestro, per salutare il quale ci si prostra, a una certa distanza, sul ventre. Oltre alle filosofie, allo yoga, al tantrismo, studia in particolare la musica classica indiana, fino a diventare Direttore aggiunto del Collegio di musica dell’Università di Benares. Dopo il ritorno in Europa, con la missione di mostrare l’induismo nella sua autentica realtà, fonda a Berlino poi a Venezia (1963 e 1970) l’Istituto Internazionale di Studi Musicali Comparati.

Proprio per l’integrazione di esperienze opposte – quella dell’intellettuale europeo e quella interna all’induismo profondamente assorbita in India – i contributi di Alain Daniélou, sovente pionieristici, sembrano talora non poter distinguere le diverse prospettive, quella dello studioso e quella del praticante convinto. Ma è solo l’ombra di un alto pregio, poiché riflettono un processo personale di crescita e di conoscenza genuino, tenace, sempre sorretto dalla capacità di mettersi in discussione, di sperimentare concretamente, di pagare personalmente. Fra i temi numerosi cui Daniélou si è dedicato (mitologia, musica, storia e sociologia dell’India), i volumi da poco pubblicati offrono considerazioni penetranti soprattutto sull’arte e sulle raffigurazioni erotiche templari. Giudicate scandalose appena conosciute in Occidente, come pure da hindu di prima grandezza educati all’occidentale – Gandhi e Nehru fra i primi – queste raffigurazioni evocano per Daniélou il kama , “piacere”, forza primordiale da cui si sprigiona l’intera manifestazione e alla quale ciascun essere irresistibilmente anela ritornare. Simboleggiata e favorita, secondo alcune correnti, dall’atto d’amore, la sua realtà piena è la «condizione ultima nella quale l’individuo e l’Universale cessano di essere separati», condizione dove «colui che abbraccia il Sé non conosce né il dentro né il fuori». Di questa realtà le coppie di amanti di pietra silenziosamente immerse nell’abbraccio sono l’immagine.

Alain Daniélou, «Il giro del mondo nel 1936», CasadeiLibri Editore, Padova, pagg.156, €30,00;

«La scoperta dei templi. Arte ed eros dell’India tradizionale», CasadeiLibri Editore, Padova, pagg. 48, € 6,00.

Da ricordare il volume autobiografico:

Alain Daniélou, «La Via del Labirinto. Ricordi d’Oriente e d’Occidente»

Carta – n. 15 anno 2005
A spasso nel novecento con Daniélou
di Umberto Zona

“Sono un frondista per natura, tendo sempre a oppormi all’ideologia dominante […], ma non sono un profeta e d’altra parte la mia barba si rifiuta di crescere”.

È quanto Alain Daniélou dice di sé nella sua autobiografia, “La via del Labirinto”, fin qui inedita in Italia e ora pubblicata, in una edizione accurata, dalla neonata CasadeiLibri. Leggendola, vi ritroverete alle prese con un avvincente e coltissimo on the road lungo le rotte del Novecento. Daniélou fu ballerino nella Parigi degli anni ‘trenta, frequentatore delle avanguardie artistiche e letterarie europee e viaggiatore instancabile. Il suo nomadismo riflette il suo straordinario eclettismo. Fu musicista, pittore, scrittore e studioso delle arti e delle filosofie orientali. In particolare dell’induismo, cui si convertirà nel corso del suo soggiorno in India, trascorso prima alla scuola di Tagore e poi come ricercatore all’università di Benares. Eccellente etnomusicologo, si deve a lui una monumentale raccolta, realizzata per l’Unesco, di musiche popolari della tradizione orientale, africana ed extraeuropea. Ma chi si aspetta le memorie di un accademico rimarrà spiazzato dal fiume di avventure e annotazioni personali, politiche e di costume, riportate con un irresistibile sense of humor. Tra una galleria di ritratti politically incorrect di molti tra i protagonisti del secolo scorso, lo inseguirete tra salotti hollywoodiani e postriboli asiatici, storditi da quella gioia di vivere che in Daniélou, tiene insieme il sacro e il profano e pare annunciare la venuta di quel Dionisio vittorioso pronto a “trasformare il mondo in una vacanza”.

 

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