Recensioni Elogio del Muschio

Il Sole 24 Ore del 24 aprile 2014
di Gian Carlo Calza

Elogio dei muschi: titolo indovinatissimo. Fa subito venire alla mente quello del suggestivo Elogio della penombra di Junichiro Tanizaki – purtroppo reso in italiano con Libro d’ombra – ma tant’è. Come nel capolavoro del grande scrittore giapponese anche in questo si parla di realtà minime e profondissime. Tenute in nessun conto, se non addirittura spregiate, in Occidente, ma più che apprezzate in Asia e addirittura esaltate in Giappone. Vi si descrivono percorsi capaci di portare là dove la sapienza si ferma e di far riscoprire al cuore e ai sensi luoghi negletti della conoscenza.
In modo evidentemente ispirato a quel libro l’autrice, Véronique Brindeau, si muove col suo volume uscito per i tipi di CasadeiLibri studiosa e docente di musica giapponese a Parigi, sembra voler trasmettere nel libro una sensibilità, una ricerca di ritmo e ascoltazione necessarie per penetrare nel mondo stesso della musica. Con fare delicato e attento si addentra nell’universo dei muschi giapponesi e della loro cultura cogliendone la meraviglia, la ricchezza e la complessità. Sciorina davanti al lettore un universo di decine, centinaia di muschi laddove in Francia, suo paese natale, tre sole specie entrano nel lessico comune.
Attraverso pagine costellate di poesie e miti antichissimi, in cui il muschio è apprezzato e svolge un ruolo spesso centrale, nonché di illustrazioni avvincenti di parchi, giardini, boschi, templi e capanne preziose, questo elegante libretto apre la via a un tipo di conoscenza che è anche antidoto alla fretta, alla grossolanità e all’indifferenza verso le cose piccole, ma fondamentali e rigenerative dell’esistenza.
L’autrice accompagna la sua apologia dei muschi ad altri veicoli culturali che con essi s’intrecciano: bonsai, giardini, cerimonie del tè, templi quasi segreti.
Il Saihonji è un tempio di Kyoto che richiede una procedura particolare per l’ammissione. Oltre la prenotazione con vari giorni d’anticipo è necessario percorrere una strada a piedi per raggiungerlo e solo in gruppo una volta al giorno. È poi richiesto di trascrivere anche se non si conosca il giapponese quindi come si può un certo numero di caratteri di un sutra o discorso del Buddha. Quindi una serie di difficoltà per accedere a quello che è la principale attrazione del luogo sacro, vale a dire il suo celebrato giardino dei muschi.
Oggi nell’era della globalizzazione siamo costantemente sommersi da tsunami di saperi senza fine, e fine a se stessi, su tecniche, modi di pensare, forme estetiche di culture e società innumerevoli alcune anche che incombono più o meno minacciose sulle nostre realtà. E proprio questa massa di informazioni rischia di non creare nessun ponte di vera comunicazione perché il cuore non ha lo spazio, il tempo, di trafilarla con la decantazione, con l’esperienza.
E allora si capisce come queste difficoltà appositamente create abbiano lo scopo di creare tale spazio di attesa, silenzio e ascoltazione per meglio assorbire vivere, senza dover capire l’esperienza dell’incontro.
Ma funziona? Qualcuno si chiederà.
«Marco cominciò il suo lavoro come uno scolaro all’aperto e finì i duecento ideogrammi invaso o per meglio dire invasato di felicità. Felicità della vita, della perfezione di tutto, dal profumo che saliva dal tatami alla morbidezza del pennellino con cui egli tracciava felicemente gli ideogrammi di cui non capiva nulla. (…) anche qui la felicità di Marco era al suo massimo, senza alcuna punta di malinconia, ed egli si identificava sia con gli alberelli di acero percorsi da un venticello quieto e fresco, sia coi vari tappeti muschiosi e perfino con l’ombra e la luce che giocavano attraverso la polvere d’oro e gli aceri sul piccolo stagno dalle flottanti carpe. Qual genere di felicità era? Marco non lo sapeva, ma forse era proprio quella suggerita dalla filosofia Zen».
Ma quel Marco così poco giapponese e così profondamente italiano capace però di immergersi nel diverso da sé grazie alla lentezza del muschio e non solo, è Goffredo Parise che evoca questa e altre simili esperienze d’incontro, e anche scontro, col Giappone nel bellissimo L’eleganza è frigida.

 

ALIAS SUPPLEMENTO DE IL MANIFESTO 23 Dicembre 2013
Fenomenologie dei muschi
di  Andrea Di Salvo
Chinati verso un tempo delle origini, verso il suolo. Verso un basso che accompagna lo sguardo raso le cose, nell’universo d’ombra screziata che in un’onda ininterrotta sopra di esse ammanta un tappeto ovattato di smeraldo. Attratti verso l’infinitamente piccolo, il minuscolo, il modesto, l’apparentemente indistinto. Così, ben al di là delle svariate considerazioni di ordine botanico o paesaggistico ci proietta questa apologia dei muschi, dilatando il suo oggetto a viatico di un necessario cambio di prospettiva, in uno spaesamento che genera nuova attenzione. Così, almeno, per Véronique Brindeau nel suo Elogio dei muschi (traduzione di Lorenzo Casadei, Casadeilibri editore, pp. 110, € 18,00). Dove, per il tramite paradigmatico della pervasiva presenza dei muschi nei giardini e in tante forme espressive della cultura giapponese, l’autrice affettuosamente assume la fascinazione per l’alterità di quella civiltà e in specie per la costitutiva, particolare sensibilità del rapporto che essa intrattiene con la natura. Intima, rispettosa consuetudine qui emblematicamente testimoniata dalla mirabile varietà di nomi comuni riservati da questa lingua – come già alle nuvole, alle pietre da giardino o alle lanterne di pietra – ai muschi. In numero di trecento, stando alla guida tascabile di quelli del Giappone cui l’autrice attinge – e noi parafrasando – le delicate, immaginifiche descrizioni. Dal calligrafico “pennello di Yamato”, al profumato muschio cipresso, dal muschio “la brina che si posa”, al muschio “argento”, color cenere, fino al “muschio lanterna”, a quello detto “sigaro”, a quello “della memoria” … L’elogio percorre l’universo dei muschi evocandone l’impiego così nei giardini come nei paesaggi in miniatura o in quelli in vaso, procedendo per archetipi, oltre ogni declinazione cronologica. Dai sorridenti volti muscosi scolpiti nei giardini del tempio di Hoara, al Saiho-ji, il riscoperto Tempio del muschio di Kyoto, ricco dei suoi 120 tipi, con le composizioni di pietre coperte di muschi dei giardini d’influenza zen, fino al Ryoan-ji dove i muschi si fanno frange, margine, raccordo di vita nell’astrazione tra isole e mari di rocce. Risalendo su per i sentieri muschiati di rugiada che avviano al rito della cerimonia del tè. Fino alle moderne reinvenzioni nelle scacchiere di muschio cedro di Mirei Shigemori nel Tofuku-ji. Un lessico vivente di tessiture che dalle distese delle centinaia di muschi recenti del giardino di Hakone (1954) trascorre negli evanescenti confini di quelli di Komatsu a Koke no Sono, fino ai piccoli spazi dei giardini interni, quelli conclusi dei patii, invisibili dalla strada e senza orizzonti, o si condensa nei muschi-paesaggio, miniature giardino aperte al loro interno – dal vuoto di sabbia, al centro della composizione – verso un infinito senza limiti.
Se c’è una stagione speciale per ammirare i muschi – suggerisce l’autrice – è il mattino d’estate, rischiarato dopo un acquazzone improvviso; prima che la rugiada evapori o magari dopo che un gesto d’ospitalità, l’uchimizu,  ritualmente rianimi muschi e pietre del sentiero del giardino aspergendoli d’acqua, mentre dagli alberi un particolare tipo di luce tremolante, komorebi, cade filtrando figure e trasparenze del cammino, nel mormorio del vento.

 

La mia abitazione country&country Febbraio 2014

Si intitola così questo libro che ci accompagna con grazia verso gli antichi giardini giapponesie la poesia del Sol Levante. Ci si incammina verso uno di quegli spazi verdi che portano “alla casa del té, dove si reca chi vuole affrancarsi dal mondo”. Spazi che, naturalmente, sono tessuti di muschi, il cui regno incantato è tutto da scoprire e capire. Già, perché di muschi se ne parla poco, i giardinieri tendono ad eliminarli, i nomi botanici non sono tantissimi. In Giappone, invece, scrive Véronique Brindeau, “il suono dei loro nomi ne restituisce il colore e il movimento; i nomi disegnano la linea elegante di un cedro, il vapore delle nuvole, la cascata di un salice…” Si ha a che fare con pennelli da calligrafo, serpenti, nuvole di piccoli ombrelli… Insomma, vedere un muschio, dopo la lettura di questo volume, non sarà più come prima! “Immerso nel pensiero/dei ciliegi in fiore/sopra il muschio/stabilisco il mio giaciglio/e sonnecchio a primavera”.

Véronique BrindeauElogio del muschio

 

 

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