Recensione Un’educazione per la democrazia

Dal sito internet www.oxydiane.net del 16/9/2009

L’istruzione obbligatoria universale/
Testi e progetti degli albori della rivoluzione francese 

di Norberto Bottani

testi chiave presentati in traduzione italiana:

il rapporto di Condorcet (aprile 1792);
il piano di Lepeltier (luglio 1793);
il rapporto sull’istituzione della Scuola Cnetrale dei lavori pubblici di Fourcroy (1974);
il secondo rapporto sull’istituzione delle scuol normali di Lakanal (1794)
Questo pregevole volumetto pubblicato nel corso dell’estate dalla casa editrice Casadei di Padova [ 1 ] ha il merito di attirare l’attenzione sui temi affrontati agli inizi della rivoluzione francese a proposito dell’istruzione e della scuola. Come ricorda Baczko, la rivoluzione non ha inventato la scuola e nemmeno l’alfabetizzazione di massa. Le sue esperienze pedagogiche non hanno per niente influenzato la curva dell’alfabetizzazione: “In compenso essa ha inventato una nuova rappresentazione dell’educazione e, di conseguenza, della scuola.” … “Attraverso i suoi progetti, sogni e esperienze, il periodo rivoluzionario lega all’immaginazione sociale la rappresentazione e la speranza dell’educazione per la libertà e la democrazia e, soprattutto, la rappresentazione della scuola che emancipa…”.

La connessione educazione-democrazia
Oggi ancora il dibattito pedagogico si svolge in gran parte nell’ambito dei temi discussi all’inizio della Rivoluzione francese , indipendentemente dalle soluzioni inventate da allora in poi dagli stati nazione per realizzare l’istruzione universale, promuovere il merito, riconoscere i talenti, facilitare l’accesso alla cultura, potenziare la democrazia. “Avere operato la fusione, a livello simbolico, dell’educazione e della democrazia, dovendo l’una, necessariamente, assicurare l’avvenire dell’altra, questa fu, in fin dei conti, la grande invenzione, politica e pedagogica insieme, del periodo rivoluzionario” scrive Baczko nel saggio introduttivo del volume nel quale sono presentati i quattro contributi egregiamente tradotti da Vannina Fonte-Basso.

Ancora oggigiorno le organizzazioni internazionali intergovernative come la Banca Mondiale , l’OCSE , l’UNESCO , giustificano i loro programmi nel settore delle politiche scolastiche con questo argomento: lo sviluppo dell’istruzione nel mondo e segnatamente l’innalzamento del livello d’istruzione della popolazione sarebbe un fattore cruciale di diffusione della democrazia e indirettamente dell’economia di mercato. Istruzione e democrazia sarebbero strettamente connesse. La seconda non potrebbe fare a meno della prima. La qualità della vita democratica e il suo consolidamento implicherebbero livelli d’istruzione elevati per tutta la popolazione, un’educazione di massa insomma, che vada ben oltre gli obiettivi, relativamente modesti, dei rivoluzionari del 700, i quali hanno nondimeno posto le premesse delle politiche scolastiche di tutta l’epoca moderna e contemporanea.

Educare il popolo per governarlo

La missione pedagogica di educare il popolo è sviscerata per la prima volta in questi testi e nel dibattito politico che hanno suscitato: la razionalità critica alla portata di tutti, “i lumi della ragione” come ancora di salvezza per una società libera, fraterna e giusta.

Son passati due secoli dall’ inebriante esaltazione pedagogica di Condorcet, Lakanal, Mirabeau e soci e possiamo ora fare i conti di questa operazione. Il bilancio è amaro, non solo per i risultati deludenti delle valutazioni su vasta scala realizzate da quarant’anni a questa parte [ 2 ]. Quanto successo nella prima metà del ventesimo secolo, l’apocalisse della Shoa in primis , non concorre a convalidare la tesi rivoluzionaria del collegamento intrinsico tra sviluppo dell’istruzione e democrazia. La ragione può essere diabolica e dar luogo a società tutt’altro che democratiche, rispettose di qualsiasi cittadino. L’ingrediente dell’istruzione per tutti non basta. Occorre qualcosa d’altro per promuovere società giuste, tolleranti, non violente. Il governo della società e l’emancipazione di tutti non si conseguono solo con lo sviluppo dei sistemi scolastici, l’estensione della durata della scolarizzazione, il miglioramento generalizzato dei livelli d’istruzione della popolazione. Come afferma Baczko in conclusone del saggio introduttivo ai quattro testi della fine del Settecento, “una società democratica che non riesce ad affrontare i suoi problemi e i suoi conflitti rinnovando il suo immaginario collettivo e soprattutto la sua rappresentazione dell’ “educazione alla libertà” non espone ai rischi più gravi questa libertà stessa, speranza sempre indefinita, ma sempre tanto concreta quanto facile?”.
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[ 1 ] Catalogo molto elegante e raffinato, piacevole da sfogliare.

[ 2 ] Per esempio le indagini dell’IEA e l’indagine PISA dell’OCSE, di cui si parla in numerosi articoli di questo sito, che possono essere ritrovati con una ricerca svolta utilizzando gli acronomi di ogni indagine.

Henkey

HenkeyMetamorfosi di origami modulari                                                        Gianna Alice

 

 
Il nome henkyi è stato scelto perché questi moduli si trasformano e, con semplici varianti, danno vita a modelli molto diversi tra loro: kusudama, stelle, fiori, animali … Gli origami presentati in questo libro, ideati da Gianna Alice, ormai famosa anche in giappone, sono semplici da fare ma incredibili negli sviluppi.

origami

 

 

 
Gianna Alice, biellese di origine, si è laureata in matematica a Torino dove vive. Studiosa della cultura giapponese, pratica diverse arti marziali in particolare aikido (4°dan Aikikai d’Italia ) e jodo (3° dan conseguito a Tokyo). Insegnante di matematica, ha utilizzato l’origami modulare come sussidio all’insegnamento della geometria tenendo corsi in scuole di diverso grado.
Ha pubblicato in Giappone i suoi primi modelli di origami sulla rivista della Nippon Origami Association, quindi il libro di modulari Alice’s fushigina rittai origam i e successivamente in Italia – Kabuto – contenente una sessantina di modelli di elmi.

 

Formato: 17 x 24 cm., Pagine: 208 pagine a colori, ISBN: 8889466650 Prezzo: € 22,50

Bronislaw Baczko

Bronislaw BaczkoBronislaw Baczko nasce a Varsavia, il 13 giugno 1924. A seguito dei drammatici eventi della guerra lascia, con la sua famiglia, la città. Trascorre due anni in Unione Sovietica, in un kolchoz , raggiunge poi l’armata del partito comunista polacco e, come ufficiale dell’Armata polacca, ritorna nel 1944 a Varsavia, dove completa gli studi. Nel 1952 è docente all’Università di Varsavia ed esponente di punta del marxismo polacco. E’un professore seguito con fedeltà dai suoi studenti, uno studioso che si addentra, a partire dagli studi su Rousseau, nelle problematiche del XVIII° secolo e del periodo rivoluzionario di cui diventerà uno dei maggiori esperti a livello mondiale.
La sua attività di intellettuale si intreccia alle vicende politiche della Polonia; rigore e coerenza, la difesa della libertà d’opinione, della legalità, lo porteranno a un duro scontro con il POUP (Partito Operaio Unificato Polacco). Nel 1968 viene interdetto. Espulso dal partito gli viene impedito di insegnare, di pubblicare, ed è costretto all’esilio. In Francia prima, a Ginevra poi, Baczko prosegue il suo percorso intellettuale e umano. Pubblica testi importanti sull’Utopia, sulla Rivoluzione Francese, di cui indaga i risvolti legati all’immaginario sociale, sulla pedagogia rivoluzionaria. Prosegue la sua attività di Professore all’Università di Ginevra, dove vive tutt’ora. La sua ultima fatica è recente: Politiques de la Révolution française , edito da Gallimard, è stato dato alle stampe nel 2008.

Un’educazione per la democrazia

EducazioneTesti e progetti del periodo rivoluzionario

Bronislaw Baczko

Il testo “ Un educazione per la democrazia. Testi e progetti del periodo rivoluzionario”parla della scuola e dei suoi problemi, partendo dalle origini, controverse e complesse, dei progetti di istruzione pubblica, nel periodo della Rivoluzione Francese.
Non è però né un semplice pamphlet polemico, né,solamente, una riproposizione di testi, di difficile interpretazione per il lettore contemporaneo. La guida alla lettura dei progetti presentati, la messa a fuoco delle tematiche più rilevanti nello scontro che opponeva i sostenitori di diverse “linee” d’intervento”, il legame con le problematiche del presente, viene fatto con grande lucidità e chiarezza da Bronislaw Baczko, storico polacco noto in Italia per i suoi lavori sull’utopia e sull’immaginario sociale.

E’ un nome di riferimento per gli addetti ai lavori, ma anche uno studioso con grande capacità comunicativa, frutto della sua lunga esperienza didattica in Francia e in Svizzera: la sua introduzione (40 pagine) disegna un quadro generale di un periodo e di una tematica su cui la letteratura è carente. Il testo di riferimento da lui curato comprende una gamma molto ampia di contributi. L’edizione italiana si presenta più agile, essendo indirizzata non solo agli storici e, in generale, a persone che amano indagare e conoscere i legami tra i problemi del passato e presente, ma anche a studenti delle Facoltà di Scienze della formazione, in cui è presente l’insegnamento di Storia della pedagogia o Storia della scuola.

Nell’edizione italiana sono quindi presenti i nomi noti, che hanno segnato l’origine della scuola pubblica, a partire da Condorcet. Oltre a Condorcet (è il progetto più lungo, 60 pagine,) sono presentati altri tre testi: quello di Lepeletier, il progetto robesperrista per eccelenza, letto da Robespierre stesso (30 pagine) un testo di Lakanal (13 pagine) che tratta il problema, molto attuale, della formazione degli insegnanti, un testo di Fourcroy,(16 pagine) sulla nascita della scuola Politecnica, che affronta il problema, risolto in Francia ben diversamente che in Italia, delle scuole tecniche. Ognuno di questi contributi ha la nota introduttiva di B. Baczko.Di questi testi esiste solo la traduzione di Condorcet, degli anni ‘60, introvabile e di non facile lettura. Abbiamo voluto,al contrario, che i testi, pur nel rispetto delle caratteristiche della lingua settecentesca usata, fossero di per il lettore contemporaneo, gradevoli e privi di inutili oscurità. Le note chiariscono il significato di alcuni termini desueti. Il testo é completato da apparati a cura di B. Baczko e di Patrizia Zamperlin, docente di Storia dell‘Educazione all’Università di Padova che delinea un quadro degli studi italiani su questo settore disciplinare.

L’introduzione della curatrice V. Fonte-Basso, chiarisce i motivi della scelta dei testi, i criteri seguiti per la traduzione e fa rilevare, sulla scia delle osservazioni di Baczko, alcuni elementi di attualità, e il legame tra il passato e i problemi, di difficile soluzione, che investono la scuola del nostro presente.

Recensioni

Formato: 13,5 x 21 cm., Pagine: 244, ISBN: 88-89466-41-4 Prezzo: € 19,00

Recensione Arte e Culti dell’oriente cristiano a Roma e nel Lazio

Medioevo febbraio 2010

Ex oriente lux
di Andreas Steiner

La presenza del cristianesimo orientale, bizantino, siriaco e copto – a Roma e nel Lazio è l’argomento del volume che raccoglie numerosi saggi (di Angelo Michele Piemontese, Renato d’Antiga, Marta Ragozzino, Anna Calia, Lorenzo Casadei e Giulia Lotti), corredati da un prezioso apparato iconografico, in ampia parte inedito (curato da Federica Aghadian), su questa particolare e, strano a dirsi, per molti versi ancora sconosciuta corrente della storia artistica e religiosa. Introduce l’opera l’affascinante ricerca di Angelo Piemontese, dedicata alla ricostruzione del culto dei santi persiani a Roma (un tema mai prima affrontato né in Italia, né all’estero) mentre la parte centrale del libro illustra la Roma bizantina e il monachesimo laziale, evidenziando come ai momenti di “eclissamento” della funzione guida della capitale abbiano fatto da contraltare – come ricorda nella presentazione il Presidente del Consiglio Regionale del Lazio, Guido Milana – “luci provenienti dalla “periferia” , per esempio da Subiaco, Farfa e Montecassino, dove il monachesimo giunto da oriente andava elaborando i germi del mondo a venire”.
L’opera prosegue indagando la presenza delle cosidette “Madri orientali del Lazio” (con capitoli dedicati, tra l’altro alla più antica icona di Maria in Roma, alla Madonna di Farfa e a quella “nera” della Civita di Itri) e il rapporto tra la figura della Isis lactans (del culto egiziano, copto e pagano) e l’immagine della Madonna che allatta.
Il processo di cristianizzazione del mondo romano antico, “lento, accidentato e incompleto”, viene raccontato all’esempio di un monumento poco conosciuto, la Chiesa di Sant’Angelo in Peschiera, vicino al teatro di Marcello.
Chiudono il volume brevi saggi dedicati alle tracce della Roma greca e siriaco-armena, alla continuità tra oriente e occidente testomoniata dalla documentazione musiva presente nelle principali chiese paleocristiane della capitale, all’arte deuterobizantina nel ducato di Gaeta, all’abbazia di San Magno a Fondi e alla Basilica di Castel Sant’Elia.

 

Il Riformista

Roma e l’Oriente. Il culto cristiano di due millenni fa.
di Cinzia Leone

OPERA OMNIA. Un volume di CasadeiLibri ripercorre gli influssi artistici giunti da Bisanzio, Persia ed Egitto. Una miniera di documenti inediti che individuano nuove tracce di lettura della storia della Chiesa.
Età delle tenebre, secoli bui, decadenza, sono gli stereotipi che perseguitano l’alto Medioevo. Dopo il crollo dell’Impero romano,le strade si biforcano: Roma e Bisanzio. L’Italia,da sempre attraversata da correnti migratorie e abituata all’afflusso di schiavi provenienti da tutte le regioni dell’impero,viene trafitta dalle invasioni barbariche. L’amalgama nata dal mix di culture dell’impero viene investito e modificato da flussi culturali potenti e compositi.
Roma nei primi secoli dopo Cristo è una metropoli cosmopolita e con la separazione dei due imperi diventerà policentrica. Molti dei pontefici verranno dall’Oriente cristiano,e gli artisti,da Bisanzio,dall’Asia Minore,dalla Siria e dall’Egitto,li seguiranno portando nuove esperienze stilistiche. Roma città aperta. E profondamente cambiata dal Cristianesimo. Conosciamo poco quei tempi disorientati e sconcertati che seguirono la decadenza del mondo antico. Secoli di migrazioni,guerre,agitazioni e profondi cambiamenti. Ogni ritrovamento diventa quindi prezioso. Arte e culti dell’Oriente Cristiano. A Roma e nel Lazio (pp. 252,€128) appena uscito per la CasadeiLibri editore non è solo uno strumento di comprensione,ma una miniera di documenti inediti che,ribaltando i luoghi comuni,traccia nuove ipotesi di lettura. Duecentocinquanta pagine eleganti e con un ricco corredo iconografico,raccolgono saggi che da prospettive differenti, illuminano un’area geografico-culturale,Roma e il Lazio,snodo prezioso per l’interpretazione della storia della Chiesa e della storia dell’arte.

Il saggio più innovativo è quello contenuto nel primo capitolo,sul culto dei santi persiani a Roma. Abdon e Sennen, Mario e Martha,Anastasio,Sant’Onofrio al Gianicolo,storie di emigranti accompagnati dalla fede,che dalla Persia,grande potenza e acerrima nemica dell’Impero romano,intraprendono il loro percorso di santità. La Roma pontificia,anche grazie a loro,stringe rapporti amichevoli con la Persia che accetta l’invio di missionari e riconosce l’autorità spirituale del Papato. Le convergenze parallele ci sono sempre state,nei secoli luminosi e anche in quelli bui. I siti,le mete di pellegrinaggio,le reliquie e le lapidi,disegnano un nastro topografico inedito e intrigante.
Ma in questo volume non c’è solo Roma. I monaci,protagonisti assoluti in tutta Europa della conservazione,della conoscenza e dei testi sacri,e non solo,hanno nel Lazio preziose roccaforti. Grazie al filo conduttore e alla guida dei Dialoghi di San Gregorio Magno,attraverso descrizioni,decodifica di lapidi e testimonianze,come ologrammi riprendono vita siti religiosi perduti o poco conosciuti e visitati. La Basilica di Sant’Elia a Castel Sant’Elia,la chiesa di San Benedetto in Piscinula a Roma,la grotta dei Pastori a Subiaco e molti altri ancora.
Più avanti nel libro il saggio Madri orientali nel Lazio. Un mito attraversa il Mediterraneo e lo unisce: quello preistorico della grande madre,fertile e ricco di trasformazioni in chiave religiosa che ne mantengono immutata la forza archetipica. Il capitolo raccoglie la sfida del mito, la riempie di senso cristiano e la arricchisce della forza astratta e dell’assoluta bellezza dell’icona orientale. Pagina dopo pagina sfilano davanti agli occhi del lettore Madonne belle e ieratiche come la Teodora di Ravenna e con la pelle ambrata come le icone russe: la Madonna di Grottaferrata,l’icona di Sonnino, l’icona di Santa Maria Maggiore alla Cappella Borghese a Roma.
Di seguito, ma fortemente collegato col saggio che lo precede,il capitolo sulla Galaktotrophousa (colei che nutre col latte),Maria Lactans,la Madonna che allatta il Bambino,che chiude il cerchio,ci restituisce una santità antica e misterica,e insieme profondamente e intimamente cristiana. Una Roma multiculturale e multiartistica nata da una fusione e che della fusione farà la sua forza.
Un greco dei tempi di Prassitele avrebbe giudicato queste opere crude e barbariche. Ma gli artisti di quei secoli non sembravano più soddisfatti del virtuosismo ellenistico e cercavano effetti nuovi e nuovi valori. Gregorio Magno,vissuto nella seconda metà del VI secolo,ricorda a quanti avversavano ogni pittura che molti membri della Chiesa non sapevano né leggere né scrivere,e che per ammaestrarli,i dipinti erano utili quanto ai fanciulli le immagini di un libro illustrato: “ La pittura può servire all’analfabeta quanto la scrittura a chi sa leggere. Tutti sanno vedere.”
La pittura su legno delle icone impreziosite dalla foglia d’oro. Il mosaico composto di cubetti di pietra o di vetro che ricoprono l’interno delle chiese sprigionando colori densi e caldi,con un effetto di solenne splendore. Le idee egizie sull’importanza della chiarezza espositiva ritornano ad imporsi con autorità,grazie alla attenzione della Chiesa. Un’idea di semplicità piuttosto che la fedele imitazione dell’antico.
Gli interessi si spostano. Si è spesso detto che l’arte classica in quegli anni decadde,di sicuro molti dei segreti anche tecnici andarono perduti, ma l’abilità non è tutto. Le forme semplici non furono quelle di un’arte primitiva. L’arte cristiana dell’alto Medioevo divenne un curioso miscuglio di metodi primitivi e tecniche raffinate. Sull’osservanza delle tradizioni i Bizantini diventarono intransigenti come gli Egizi. Bisanzio era riuscita a far rivivere qualcosa della grandiosità e maestà dell’antica arte d’Oriente. Le immagini che ci guardano dalle pareti scintillanti si rivelano simboli perfetti della verità divina apparsa per non abbandonarci. Gli artisti raccolti in questo volume disegnano un percorso insolito e in parte sconosciuto. Uomini che assistettero al trionfo del Cristianesimo e finirono per accoglierlo,segnando così la fine del mondo antico.

Arte e culti dell’oriente cristiano a Roma e nel Lazio

cultiAlla scoperta di una Roma e di un Lazio poco esplorati quando non del tutto inediti, come nel caso della prima ricostruzione mondiale del culto dei santi siriaci in Roma. La Roma bizantina nella Storia e nell’Arte; le icone orientali del Lazio; Il Misterioso caso di S. Angelo in Peschiera; i tesori deuterobizani di Gaeta e molto altro ancora.

Testi di Angelo Michele Piemontese (Universita La Sapienza), Renato D’antiga, Marta Ragozzino (Soprintendenza Roma), e contribuiti di Anna Calia, Lorenzo Casadei, Giulia Lotti.

Foto di Federica Aghadian e altri.

Recensioni

Formato: 30 x 30 cm. cartonato, Pagine: 252 a colori/verniciate., ISBN: 88-89466-44-5 Prezzo: € 128,00

Recensione Diario di una Maiko

 

Il Riformista – 7/03/2009

“L’iniziazione inesplorata di una geisha”
di Anna Mazzone

Spesso l’Occidente le vede come mere “intrattenitrici”. Ma dietro la formazione di una musa moderna c’è molto di più. Miriam Bendìa racconta gli sforzi, le paure e la passione di una Maiko per aggiungere l’arte. Avete mai sfiorato lo sguardo di una geisha? Le avete mai viste correre su per le scale del tempio, sorridenti mentre il vento dolce di Kyoto prova a scompigliargli l’acconciatura austera? Le avete mai osservate coprirsi le labbra intense e abbassare gli occhi dopo una battuta mentre sorseggiano del thè verde? Le geishe sono un mistero. Lo resteranno ancora. È questo il loro incantesimo perpetuo. Non si riesce mai a toccarle fino in fondo, a conoscere l’abisso profondo che si cela dietro il loro sorriso. Per questa ragione continuano a farci sognare e a stregarci. Quando una geisha ti passa davanti per strada con il suo passo delicato e veloce, il tempo si ferma e si resta impietriti a fissare l’incanto in movimento. Anche se è già scomparsa dalla nostra visuale, se ha voltato l’angolo ed è in un altro dove. Le geishe lasciano una scia che non si può etichettare, ma è certo che stordisce, anche se solo per un breve istante. È difficile parlare di geishe. Sono sfuggenti, come sabbia che scivola in silenzio tra le dita. Eppure, il nuovo libro di Miriam Bendìa, Diario di una Maiko della CasedeiLibri riesce ad avvicinarsi molto a quel tesoro inesplorato che è la quotidianità di una geisha.

Diario di una Maiko è un’incantevole e poetica galleria dedicata a quelle muse della femminilità e dell’arte rappresentate da tutte quelle donne giapponesi che decidono di diventare geishe. Culturalmente, noi occidentali siamo abituati a scelte diverse, che comportano il più delle volte l’oscuramento del proprio corpo, la negazione di qualsiasi appiglio erotico e sensuale e non già la sua piena esaltazione, il suo trionfo artistico. Le geishe sono esattamente il contrario. In giapponese il loro nome è composto da due kanji: gei, che significa arte e sha, che significa persona. Le geishe, dunque, incarnano l’arte con la loro vita e all’arte sono fedeli e sempre devote. Sono danzatrici, musiciste, attrici. Le geishe compongono haiku, le brevi poesie nipponiche, e sanno affrontare discussioni letterarie e filosofiche, ma anche economiche e politiche. Tutto, nella loro bocca e tra le loro dita diventa arte.

Il romanzo della Bendìa è una galleria fotografica sulle geishe.

Delicato, poetico, dinamico. I magnifici ritratti firmati da Michael Chandler scandiscono il ritmo diaristico del libro che non ha una natura documentaristica, ma piuttosto squaderna sapientemente (e dolcemente) le aspirazioni della giovane Sotori, che a quindici anni decide di seguire la sua strada per diventare una geisha. E come tutte le adolescenti del mondo Sotori ha un diario, che segna i piccoli momenti importanti della sua vita. Con orgoglio e fierezza descrive la gioia di essere stata accettata come Maiko in una okiya di Kyoto, ossia una delle tante geishehouse dove un piccolo esercito di donne inizia le giovani Maiko all’arte del levigare i propri corpi, per farne opere di assoluta bellezza che possano facilmente accendere il desiderio degli uomini. La nuova Maiko impara a vestirsi, a truccarsi, a pettinarsi secondo una logica ferrea. La vita nell’okiya non è affatto semplice.
Bisogna studiare tanto e imparare in fretta. Quando si entra in una okiya si taglia il cordone ombelicale con l’esterno, con gli affetti, con la famiglia, e si entra a fare parte di una sorta di mondo parallelo, fatto di obbedienza e di duro lavoro. Diventare opera d’arte è un’attività complessa, che richiede sforzo e passione. Sfogliando Diario di una Maiko ci si rende conto di quanto cuore ci sia dietro il diventare quello che noi occidentali – assai volgarmente – definiamo spesso come delle mere “intrattenitrici”.

 

Intervista di Viviana Gasperini a Miriam Bendìa

Che cosa significa per Sotori feel good ?

Danzare. Mentre balla, galleggiando tra le note dello shamisen, she feels good.

Che cosa vuol dire geisha nel 2009?
La parola geisha è composta da due caratteri giapponesi: gei significa “arte” e sha“persona”. Se maiko (apprendista geisha; ragazza danzante) vuol dire danzatrice, geisha dunque significa artista. Il loro mondo simboleggia e riassume tutti i problemi della modernizzazione che colpirono la società giapponese, soprattutto all’inizio del secolo. In quel periodo, anche loro erano nell’occhio del ciclone!
Allora c’erano diverse posizioni, riguardo al karyukai (il mondo del fiore e del salice): una, spietata e progressista, affermava che le geiko (il dialetto di Kyoto per geisha) erano ormai completamente anacronistiche e che la professione doveva essere lasciata morire di morte naturale.Un’altra più moderata affermava che dovevano cercare di aggiornarsi per adattarsi ai tempi moderni e poter sopravvivere in essi.Solo pochi nostalgici ripetevano, senza sosta, che il Giappone avrebbe perso un tesoro prezioso della sua tradizione se le geisha fossero scomparse o mutate.
Le okasan (geisha mother) più anziane raccontano spesso quali difficoltà abbia dovuto affrontare il karyukai, in quel difficile periodo! Ma proprio in virtù della sua importanza, per l’identità culturale nipponica, il fiore del karyukai non è avvizzito nell’indifferenza generale. E oggi le maiko e le geiko sono tornate ad essere un simbolo ineliminabile del Giappone e soprattutto della città di Kyoto, roccaforte della loro tradizione: non a caso solo qui potete ancora incontrare le autentiche giovani maiko, le allieve nell’arte della geisha.  

Si diventa geisha per una tradizione di famiglia o è una scelta personale?
Un tempo addirittura era necessario iniziare il proprio percorso di studi appena si compiva l’età di sei anni, sei mesi e sei giorni e accadeva proprio come si racconta: le bambine (generalmente appartenenti a famiglie molto povere di contadini o pescatori) venivano vendute alle proprietarie delle okiya (geisha houses). A quel punto perdevano ogni contatto con i genitori per entrare in una nuova famiglia , quella della geisha house che le accoglieva. Immaginate il trauma! Difficilmente riuscivano poi a liberarsi da quel legame, poiché dal primo giorno il debito che contraevano con la loro okasan era altissimo. Alla cifra versata per comprarle si aggiungevano tutte le spese per il mantenimento, l’educazione e la salute. Quando infine erano delle vere e proprie geisha, e iniziavano a lavorare, dovevano ripagare con i propri guadagni la okasan e il loro debito aumentava ancora con le nuove spese (basti pensare ai costosi kimono e ai cosmetici necessari per la professione). Poche artiste riuscivano dunque a liberarsi e a divenire autonome…
Oggi però è tutto molto diverso. Innanzitutto nessuna bambina viene venduta a una okiya, per fortuna! Le ragazze che vogliono diventare geisha lo decidono per loro conto, spesso anche con grande disappunto dei genitori. Come è accaduto a Sotori!
Quella della geiko è diventata una vera e propria vocazione, vissuta con grande entusiasmo e consapevolezza. Per essere accettate in una okiya si deve essere presentate alla okasan da qualcuno che goda della fiducia e del rispetto della geisha house. E si può iniziare il percorso di studio solo dopo aver completato la scuola dell’obbligo (tra i quindici e i sedici anni). Anche Sotori, nel romanzo, ha rispettato questa regola ed è stata accolta nella sua okiya solo nel 2005, quando aveva finito gli studi e aveva appunto compiuto quindici anni. La okasan si reca personalmente nella casa dell’aspirante maiko e parla a lungo con lei e con i genitori, spiegando in cosa consisterà la futura vita della figlia. Se la ragazza viene infine accettata dalla okami (geisha mother), lascia la dimora paterna e si trasferisce stabilmente nella okiya.
All’inizio sarà solo una shikomi, poco più che una cameriera. Per circa sei mesi dovrà assolvere le faccende domestiche, aiutando il personale di servizio, e comincerà a seguire i corsi presso il Kaburenjo (il luogo per la pratica della danza e della musica) del suo distretto: in pratica la scuola . In questo primo stage della formazione deve anche apprendere l’antico dialetto di Kyoto molto differente dal linguaggio abituale giapponese…
Dopo circa sei mesi come shikomi, superando un esame riguardante le lezioni di danza, di musica, di canto, di cerimonia del tè e portamento, si accede al secondo stage del corso: si diventa una minarai.
A questo punto una geisha o una maiko più esperta assumeranno il ruolo di onesan (sorella maggiore), per continuare ad insegnare tutto ciò che non si apprende in una classe…
Come minarai l’allieva deve osservare e imparare , quindi inizierà a pettinarsi i capelli nello stile Wareshinobu e a indossare i kimono tradizionali. Accompagnerà la propria onesan ai vari banchetti, per osservarla mentre intrattiene i clienti ed imparare le tecniche di una vera geisha.
Dopo un breve periodo come minarai, solitamente un mese, si celebrerà il suo misedashi: il suo debutto ufficiale come maiko!
Per tre giorni la nuova maiko sarà la star del suo distretto, indosserà il kimono nero delle occasioni formali e riceverà e farà visite nell’intero quartiere per avere gli auguri di tutti!
Dopo il debutto continuerà, per tre anni, a poter acconciare i capelli solo con lo stile Wareshinobu, quindi dopo ulteriori esami potrà passare allo stage successivo e adottare lo stile Ofuku delle maiko più esperte. A quel punto si dirà che ha avuto il Mizuage.
Per altri tre anni proseguirà nei suoi studi: la mattina seguirà le lezioni nelle varie arti, poi si preparerà per i parties serali, nei quali intratterrà i clienti mettendo in pratica ciò che impara a scuola, insieme alle sue compagne.
Inoltre prenderà parte ai vari festivals e alle numerose celebrazioni per le festività ufficiali. Al termine dei cinque anni di studio come maiko, se deciderà di non sposarsi, si potrà svolgere in suo onore la cerimonia dell’erikae (il cambio di collare , che da rosso diviene bianco nel kimono) per acclamarla come geisha.
Anche come geisha continuerà sempre a perfezionarsi nelle arti e a lavorare… 

Per capire meglio il mondo di Sotori, potresti descriverci una giornata tipo?
La sua giornata è molto intensa… La mattina è impegnata con le varie lezioni nella scuola del Kanburenjo. Il pomeriggio, più o meno verso le quattro, iniziano a prepararsi tutte, all’interno dell’okiya, per gli o-zashiki ( appuntamenti) serali nelle o-chaya (teahouses). L’orario di inizio per il lavoro delle geisha sono le sei del pomeriggio e restano impegnate nelle danze, nei canti e nelle conversazioni delle o-chaya per tutta la sera fino a tarda notte. La maggior parte dei banchetti termina verso la mezzanotte, ma alcuni possono protrarsi oltre e difficilmente rientrano nell’okiya prima delle due di notte.
Poi ci sono le festività nazionali che richiedono la loro presenza, a volte nei templi e nei santuari a volte altrove nella città. Ci sono i pranzi di lavoro con i clienti e anche gli impegni fuori città nei meeting o in altre province, nel qual caso devono restare fuori per due o tre giorni o una settimana…

Cosa fa Sotori al di fuori del suo studio? Ci sono delle situazioni in cui “non è una maiko” (esce con gli amici, non in kimono…)?
Il tempo libero, per lei, è davvero molto molto poco. In linea di massima la domenica è il giorno che può dedicare a se stessa (ma non ha tutte le domeniche libere), ai suoi interessi e alle amicizie. La domenica infatti le lezioni non ci sono e le o-chaya sono, generalmente, chiuse. Nei giorni free, se lo desidera, può uscire indossando abiti occidentali, a volte anche con i capelli sciolti e non acconciati nello stile Wareshinobu. Con il tipo di educazione che ricevono, basata sull’arte e sulla disciplina, le maiko crescono più in fretta e risultano, agli occhi esterni, molto più mature rispetto alle loro coetanee… Del resto chi non riesce a evolversi velocemente non resiste in questo mondo e abbandona presto la scuola…
Ma possiamo immaginare quanto sia complicato e faticoso conciliare i desideri di ragazza con i doveri di maiko. Conciliare il ruolo di allieva con l’età adolescenziale è una delle imprese più complicate da affrontare, giorno dopo giorno…
A volte le apprendiste invidiano un po’ le ex-compagne di scuola che percorrono strade differenti e godono, certo, di una maggiore libertà. Una maiko, da quando inizia la formazione da geisha, deve lasciare la casa dei genitori. Possono tornare a passare qualche giorno da loro solo due volte l’anno: in occasione delle festività per il nuovo anno e, a metà agosto, per l’importante Festa della Famiglia.
Possono comunque incontrarsi con amici e parenti quando vogliono e trascorrere del tempo insieme (se non hanno impegni con l’okiya), ma ormai vivono nella geisha house. Qui hanno una nuova famiglia: la okasan, la onesan, che di solito è già una vera geisha e che presto andrà a vivere per conto suo, avendo terminato i primi cinque anni di formazione, e altre maiko. Finché sono delle geisha non possono sposarsi, se decidono di farlo devono rinunciare alla carriera di artiste. Possono avere un fidanzato ma non sposarsi. In caso contrario, se desiderano prendere marito e vogliono comunque restare nel mondo del fiore e del salice, possono aprire un’okiya oppure diventare insegnanti nel Kanburenjo del distretto.

Secondo te, cosa pensa la società giapponese di Sotori e delle sue scelte?
Un giornalista, Tanako Iwao, ha scritto: “Perché il nostro corpo ha l’ombelico? Perché abbiamo le ciglia? Sembrano cose senza una funzione utile, ma potremmo farne a meno? Le ciglia proteggono gli occhi dalla polvere, dall’ombelico passava il nutrimento nel grembo di nostra madre. Secondo i medici, l’ombelico è il centro del nostro addome, il centro della nostra forza. Se non avessimo l’ombelico come concentreremmo la nostra energia? Secondo me, le geisha sono l’ombelico della società. Chi afferma che la loro utilità è scomparsa, dovrebbe provare a rinunciare al proprio ombelico”.

Le maiko sono l’anima viva del Giappone moderno: uno dei simboli più amati e rispettati dal popolo nipponico. In pratica le maiko, in quanto artiste, sono per i giapponesi delle star, quello che i vip di Hollywood rappresentano per gli occidentali… E anche di più! Un mito, un sogno, un ideale, un tesoro da custodire.

Negli studi che Sotori sta facendo, qual è la cosa che trova più difficile?
All’inizio, è stato molto faticoso per lei abituarsi a portare i capelli sempre acconciati nella complicata pettinatura tradizionale. A volte, invidia la libertà delle ragazze che possono lasciare i propri capelli liberi di consumarsi al vento. Le maiko devono sottoporsi a lunghe sedute nei saloni di bellezza, dove un acconciatore crea la scultura meravigliosa che decora la loro testa. Mani sapienti le pettinano, una volta ogni cinque giorni, e un po’ le torturano. Al termine del processo sta a loro mantenere intatta l’opera d’arte, fino alla seduta successiva! Per questo non dormono su un normale guanciale ma riposano sul tipo tradizionale: il takamakura (alto cuscino).
Si tratta di uno speciale guanciale posto su una base rigida, serve per sostenere il collo senza toccare i capelli. Un normale cuscino altrimenti rovinerebbe la complicata acconciatura tradizionale. Questa è una delle cose più difficili da apprendere! Per allenarle a dormire nella giusta posizione la okasan sparge del riso sulle stuoie, sotto la loro testa, tutto intorno al takamakura. Se, mentre dormono, la testa scivola dal supporto il riso si attacca ai capelli. In quel caso, il giorno seguente, devono subire da capo la fastidiosa tortura per esibire di nuovo un’acconciatura perfetta.

E invece, secondo te, qual è l’aspetto più bello del lavoro di una geisha?
Poter indossare raffinati kimono, ogni giorno, è un raro privilegio. Imparare a indossare un kimono, nel modo giusto, è un altro degli aspetti più complicati dell’addestramento da maiko. Nessuno impartisce loro lezioni sull’argomento. La maggior parte delle apprendiste impara come muoversi in modo aggraziato grazie alle lezioni di danza classica giapponese. I gesti impacciati comunque vengono subito notati dalle okasan che non si astengono, mai, dal rivolgere un severo rimprovero a una maiko imperfetta. Un indumento esigente come il kimono richiede lo sviluppo di una nuova personalità e occorre diverso tempo prima di acquisire la disinvoltura che si esige da una geiko. Le prime volte nelle quali lo indossano, le allieve si affacciano dall’okiya piene di incertezze, spesso dimenticando anche il motivo pratico dell’uscita, e si concentrano solo sulla camminata. Alla fine i movimenti giusti diventano naturali ma, mentre li assorbono, si rendono conto che cominciano a sviluppare una seconda anima. Non è un caso che i gesti relativamente limitati, nel linguaggio corporeo giapponese, siano calibrati sul kimono. Le maiko sono talmente condizionate dal loro involucro di seta che anche quando scelgono abiti occidentali sembrano indossare tutte kimono invisibili e gesticolano come se lunghe maniche immaginarie ostacolassero realmente i movimenti delle braccia.

Il kimono è una delle cose che le distingue dalle altre donne giapponesi. Loro lo indossano in modo molto più aggraziato rispetto alle signore che una volta o due l’anno, in occasione della laurea del figlio o di un matrimonio tra amici, tirano fuori l’abito tradizionale per esibirlo ma poi sono, visibilmente, a disagio nella complicata veste. Ma, insieme alla naturalezza e alla grazia con le quali una geiko sfoggia il kimono, sono tanti altri gli indizi che la fanno riconoscere a un occhio sensibile al linguaggio della seta. Gli elementi del kimono infatti costituiscono un vero e proprio codice sociale.
La visione posteriore di una donna inginocchiata in kimono mostra i lati migliori dell’indumento. L’obi spesso ha un notevole disegno unico (tessuto o stampato), sul retro, che forma un grande nodo piatto, nello stile comune indicato come taiko (tamburo). Questo tamburo piatto, con una superficie di circa trenta centimetri, è volutamente incorniciato dal colore a contrasto del resto. Durante i primi o-zashiki, le maiko rimangono spesso incantate dall’armonia delle altre geisha sedute in perfetto stile giapponese. A un banchetto, solitamente, vengono infatti preparate tre file di tavoli bassi, che formano una u , parallelamente ai tre lati della stanza. Gli ospiti si siedono su dei cuscini individuali, bassi e quadrati, disposti nel lato esterno di questo ferro di cavallo. Nessuno si siede di fronte a un altro. Le maiko e le geiko spesso si spostano nello spazio centrale, libero, inginocchiandosi per qualche istante davanti all’uno o all’altro partecipante. Voltano quindi le spalle alla fila di tavoli sull’altro lato della stanza.
Del mio primo banchetto tradizionale, ogni maiko ricorda più di ogni altra cosa la bellezza della schiena della propria onesan e quasi per niente i volti dei vari invitati. A pensarci bene, forse, questa visione così d’effetto è tutt’altro che casuale!

La geisha è l’incarnazione della tradizione. Molte di queste artiste oggi tengono un blog o un sito e raccontano le loro esperienze, le loro paure sul web. Come si concilia tradizione e modernità in loro e nel loro mondo?
Nel passato del Giappone, le geisha sono sempre state le donne e le artiste più all’avanguardia, quelle che non solo dettavano moda ma che le inventavano, le mode.
Le geiko erano e sono la personificazione dell’Iki: dell’eleganza innata, della raffinatezza, di tutto ciò che è cool.
La loro immagine però si è formata nel passato feudale del Giappone e loro devono restarle fedeli, il più possibile, per rimanere geisha. Oggi non sono più innovatrici, quanto custodi della tradizione nipponica. La conservazione di una tradizione impareggiabile è il loro contributo sociale!
Conciliare il dovere del rispetto verso le regole della tradizione con le loro esigenze personali, di ragazze moderne, si può. Semplicemente essendo sempre se stesse. Sono artiste, ammirate e a volte venerate, ma allo stesso tempo sono ragazze e donne reali. Sono umane. Dietro la maschera bianca ci sono la carne, il sangue e l’anima. L’importante è non permettere a niente e a nessuno di rubarti l’anima. Alcune di loro iniziano a scrivere su un diario on line il giorno stesso in cui capiscono di voler diventare una geisha. Rappresenta una scelta appassionata ma complessa e lo scriverne sul blog le aiuta a ragionare meglio sul futuro. Cercano solo chiarezza e un po’ di conforto nella Scrittura. Ma un blog del genere chiaramente suscita, fin dal principio, un’incredibile curiosità e l’interesse di tantissime persone. Con il passare del tempo, probabilmente, decidono di continuare a raccontarsi, nel diario, per esortare tutti coloro che le leggono a visitare Kyoto e ad assistere alle incantevoli danze tradizionali delle maiko  e delle geisha. Ovviamente, nei loro post, devono fare molta attenzione a non rivelare i segreti dei clienti. L’assoluta discrezione è la prima virtù che essi esigono da loro.

Se non rispettassero la loro privacy non potrebbero mai più lavorare come geisha, per il disonore. Nessuna di loro dunque può esporsi troppo, se non vuole danneggiare la sua okiya e perdere il favore dei patroni. A tal proposito spesso viene loro proibito di rivelare, sul blog, il nome professionale. Poiché solo una geisha in un determinato distretto utilizza un certo nome professionale, il rivelarlo, significherebbe esporre l’artista, la sua okiya e i relativi clienti a una pubblicità che nessuno di loro si auspica. Il karyukai è un mondo affascinante quanto fragile, come le ali delle farfalle che non si possono riparare se danneggiate… Tutto in esso si regge sulle fondamenta del mistero e del segreto tradizionale. 

Le geisha offrono agli uomini piacere: secondo te, quando le incontrano, cosa li fa star bene?
Il fatto è che le geiko donano loro un sogno. In loro compagnia, si sentono diversi: migliori. Un o-zashiki, per gli uomini, è proprio questo: un sogno, un sogno che diviene realtà. Il cuore di un uomo è il cuore del Giappone e finché il cuore del Giappone batterà per una geisha, entrambi sopravvivranno

E che cosa fa star bene una maiko? 
L’arte la rende felice e la fa sentire bene con se stessa. Un’apprendista geisha desidera diventare un’artista completa e mantenersi con i frutti del suo lavoro, nella danza e nella musica.
Ella persegue l’arte (gei) come vita: se per una geisha il gei è vita, allora è anche vero che il suo gei deve diventare arte. Levigare la propria esistenza in un’opera d’arte, per quanto possa sembrare un’ambizione elevata ai non giapponesi, è l’idea che sottende alla disciplina di una vera geiko. Nulla vuole con più convinzione: desidera divenire l’incarnazione vivente dell’Iki.  

Il suo corpo è curato elegantemente in ogni dettaglio dell’abbigliamento e del trucco e la sua mente è altrettanto coltivata per raggiungere la perfezione. Quale rapporto hanno piacere fisico e intellettuale nell’attività di una geisha?
L’intrattenimento con le geisha, nelle o-chaya, non implica assolutamente un rapporto sessuale, come molti erroneamente credono, e loro non ritengono la conoscenza delle quarantotto posizioni un aspetto fondamentale del proprio repertorio professionale. Anche anticamente le professioniste del sesso erano solo le yujo, o donne di piacere.
Le geisha sono oggi e sono sempre state artiste.
Al contrario, durante la sua iniziazione al toko no higi, l’arte erotica , una giovane yujo veniva istruita su come appagare un uomo e anche su come farlo godere in fretta, fingendo un orgasmo convincente… Infatti ella doveva imparare a conservare le proprie energie per molti clienti, nella stessa notte! Oggi, al di fuori del lavoro, ciascuna maiko o geiko può decidere con chi passare la notte…
Sotto la maschera bianca si nasconde una donna in carne e ossa, quindi anche a una geisha può capitare, al di fuori dell’okiya, di avere un’avventura o di innamorarsi di un uomo. Che sia o meno un suo cliente! Ma sul luogo di lavoro il loro ruolo è quello di intrattenitrici artistiche: cantano, danzano, allietano gli altri con la cultura, l’umorismo e la sottile ironia. Nient’altro. Riguardo al Mizuage, inteso come pratica di mettere all’asta la verginità di una maiko, un tempo esisteva realmente ma oggi per fortuna non è più in uso. In passato, fino al 1958, però nessuna maiko poteva esimersi dal subire un tale rituale se voleva essere riconosciuta come una vera geisha.  

Qual è la parte del suo corpo che una maiko preferisce? 
Le labbra. Sono l’ultima parte che trucca, prima di uscire, ma certo non la meno importante.
Le dipinge con il rossetto tradizionale: il Kyo beni, il rosso di Kyoto. Miscela la polvere purpurea con l’acqua e aggiunge un’altra polvere per dare luminosità. Usando un sottile pennello disegna, con attenzione, solo il centro del labbro inferiore: non può ancora colorare il superiore poiché ha appena compiuto solo il primo anno di studi da maiko.
Quando ha terminato, la guarda, entusiasta, la cara onesan: le ripete che per gli uomini giapponesi le labbra sottili sono considerate molto attraenti e che la sua morbida mezzaluna li manderà in estasi. 

Come maiko si hanno già dei clienti? Si partecipa a delle cerimonie?
Certo, la formazione prevede sia una parte teorica che una parte pratica. Le maiko accompagnano dunque la propria onesan a tutti i suoi appuntamenti (o almeno a tutti quelli nei quali è ritenuta opportuna la loro presenza). Le maiko in genere sono molto silenziose nei grandi banchetti ufficiali. Come apprendiste stanno ancora imparando il modo di comportarsi da geisha e la maggior parte di loro non ha ancora acquisito il bagaglio di esperienze necessario per sentirsi a proprio agio, soprattutto in presenza di alti funzionari governativi giapponesi o di statisti stranieri o di importanti uomini d’affari. Una maiko però non deve essere spiritosa: basta che rimanga seduta con aria modesta e l’aspetto di una bella bambola dipinta. Se si dimostra intelligente oltre che carina, tanto meglio, ma non ci si aspetta da lei che sappia condurre autonomamente una conversazione. Questo è di pertinenza delle geisha più anziane: esse ormai devono tingersi i capelli per ottenere il nero lucente che desiderano ma, grazie ai lunghi anni di esperienze acquisite, conoscono il modo migliore per distrarre l’interlocutore dai suoi pensieri con chiacchiere piacevoli ed innocue. Per questo motivo i banchetti in genere vengono organizzati in modo che siano presenti sia geisha, giovani e anziane, sia inesperte maiko: quelle più giovani, soprattutto le maiko con il loro aspetto tradizionale, creano l’atmosfera mentre quelle più esperte si dedicano a intrattenere gli ospiti. Una festa con solo maiko sarebbe inconcepibile.
Partecipano, in base alle disposizioni della loro okasan, anche alle manifestazioni religiose e culturali nelle quali viene coinvolta l’okiya di appartenenza. Hanno l’onore di ballare alle Kitano Odori: le Danze di Primavera. Si tratta di un evento molto importante per tutte: celebrano la magnificenza nella stagione della fioritura del ciliegio. La primavera inizia con le Miyako Odori (Miyako dances ) nel distretto di Gion, presso il Gion Kobu Kaburenjo Theater (1/4-30/4), e con le Kyo Odori nel Miyagawa-cho, al Miyagawa-cho Kaburenjo Theater (7/4-22/4), seguite dalle Kitano Odori nel Kamishichiken hanamachi (Il distretto di Sotori), presso il Kamishichiken Kaburenjo Theater (15/4-25/4), e dalle Kamogawa Odori in Ponto-cho, al Ponto-cho Kaburenjo Theater (1/5-24/5).
In Autunno, invece il quartiere di Gion Higashi celebra le sue Gion Odori, al Gion Kaikan (1/11-10/11).  

Che rapporto si instaura fra una geisha e i suoi clienti?
Il primo pensiero di una geiko deve essere sempre e solo quello di onorare il cliente, però è anche vero che hanno le loro preferenze in materia. Come dicevo, è un dovere per le geisha essere le donne più Iki del Giappone. Iki potrebbe essere tradotto come cool , per intenderci. E anche per questo loro apprezzano maggiormente i clienti Iki. Alcuni dei loro patroni le trattano come semplici dispensatrici di un’atmosfera costosa che accentui l’immagine raffinata che loro vogliono creare, per se stessi e per i loro invitati. In privato, le geisha sono propense a definire gli uomini di questo genere insensibili…
Ma il cliente ideale è molto differente. Si presuppone che egli richieda la loro compagnia nei banchetti degli o-zashiki perché preferisce la loro compagnia a qualsiasi altro svago. Un patrono Iki deve anche intendersi delle arti professate dalle geiko ed essere spiritoso e affascinante. In un certo senso deve divertirle quanto loro divertono lui. E poi ci sono i clienti speciali che le geisha chiamano danna (marito).
Il danna in teoria è colui che si occupa di tutto ciò di cui una geiko ha bisogno, paga le sue spese, acquista i suoi costosissimi kimono, è il finanziatore dei suoi spettacoli, la sommerge, letteralmente, di regali e a volte, se è particolarmente generoso, le compra anche un’abitazione o addirittura una o-chaya tutta sua.
Un danna è ormai una cosa rara, poiché sono decisamente pochi gli uomini che possono permettersi di mantenere due donne (la moglie ufficiale e la geisha favorita). Inoltre la maggior parte di loro preferisce comunque continuare a lavorare, anche dopo aver trovato un mecenate. Un rapporto di tal genere non implica necessariamente un coinvolgimento sentimentale o sessuale, ma a volte può accadere che ci sia anche questo aspetto tra il danna e la geiko.
L’importante però è non innamorarsi, mai. Una geisha che ama il suo patrono deve affrontare, quotidianamente, il problema psicologico di vivere come la seconda donna nella vita di quell’uomo. Se una geiko è davvero infatuata del suo protettore, alla fine il fatto che lui sia sposato con un’altra la consumerà! Secondo le sagge onesan, questo è il maggior rischio nella loro professione: se non sono prudenti, possono ritrovarsi con il cuore spezzato. E’ molto meglio seguire i buoni consigli delle okasan: non sprecare la vita a commiserarsi per il crudele destino di non poter avere il proprio danna tutto per sé, ma lavorare con passione, frequentare le lezioni e intessere profonde amicizie, nel karyukai, che le accompagneranno per l’intera carriera ed esistenza.  

I kimono sono vere opere d’arte. Quale significato hanno?
Il kimono che le geiko indossano racconta tutto di loro: chi sono, in quale okiya vivono, che livello hanno raggiunto nelle arti e quale stagione, dell’esistenza e dell’anno, stanno attraversando. Il primo giorno di giugno in tutte le okiya si svolge lo stesso rito: il cambio del tipo di kimono che le geiko indossano. Le sottovesti vengono aperte sui tatami e la okasan taglia i fili che fissano il colletto bianco, in grosgrain di seta, alla sottoveste. L’ampio colletto è l’unica parte visibile della sottoveste, ma è molto importante. Le geisha possono anche tamponare spesso le inevitabili macchie di trucco che lo sporcano ma, dopo un po’, è necessario staccarlo e cucirne uno nuovo. Hanno la sensazione di sbarazzarsi degli ultimi resti dell’inverno quando il primo di giugno i vecchi colletti, sporchi o puliti che siano, vengono tolti e il ro a righe a trama larga ne riceve uno nuovo, in pura seta.
Mono significa cosa e il prefisso ki deriva da kiru, indossare : kimono quindi significa semplicemente indumento . Ma non tutte le cose da indossare sono dei kimono!
Oggi la principale distinzione è tra yofuku, tenuta occidentale , e wafuku, tenuta indigena (kimono). Ormai la maggior parte delle donne giapponesi indossa quasi sempre abiti all’ultima moda. Alcune non possiedono neanche un kimono e molte hanno dimenticato come indossare quello che conservano nell’armadio: un modello nero con stampato sopra lo stemma di famiglia, il pezzo forte del loro corredo di nozze. In effetti sono rarissime le occasioni sociali alle quali non si può partecipare se non se ne possiede uno.
Le stagioni influiscono decisamente sul tipo di kimono. Al pari di una poesia haiku, un kimono deve esibire un motivo stagionale riconoscibile. La differenza tra le quattro stagioni si esprime chiaramente anche nell’esistenza di tre tipi distinti di questo indumento, oltre che nei colori e nel suo motivo decorativo. Da settembre ad aprile si indossano i kimono foderati detti awase: in pesante crespo di seta con una fodera più leggera di crespo o mussola di seta. In passato, per la fodera, era di moda il rosso, ma ora sono più indicati il bianco pastello, il crema o il bokashi (più colori sfumati). Gli awase dunque si indossano otto mesi l’anno, quelli hitoe, sfoderati, solo a maggio e, volendo, a giugno, quelli ro, ancora più leggeri, da giugno ad agosto. Un awase pregiato è in assoluto il tipo più costoso che esista!
Le maiko e le geiko sono destinate a cambiare il peso degli indumenti in base al calendario e non alle effettive condizioni climatiche. Il loro guardaroba quindi fa eco alle stagioni più di quello di una qualunque altra giapponese. Se per caso a maggio dovesse fare caldo, non possono indossare il kimono estivo, con la sua trama larga, disegnata appositamente per essere più fresca. Il caldo fisico che devono sopportare non è importante quanto il costume culturale che sancisce l’inizio dell’estate a giugno e non a maggio. La lunga veste formale nera (kuro mon-tsuki) del Nuovo Anno a gennaio viene sostituita dallo stesso tipo di veste ma a colori (iro mon-tsuki). A febbraio e a marzo si indossano due strati di kimono (nimae gasane). In aprile le occasioni ufficiali richiedono una veste foderata con l’orlo imbottito e a maggio una senza imbottitura. Giugno regala gli hitoe sfoderati, luglio il leggero crespo di seta e agosto la seta a righe a trama larga. Poi da settembre si ricomincia con l’awase…

Sotori è innamorata?
Prima di entrare nell’okiya, frequentava un ragazzo del suo quartiere: Takagi.
Non conosce ancora il significato della parola Amore, ma ha sperimentato il sesso con lui. Ha fatto l’amore (e non ancora all’Amore) per ben due volte, con Takagi, in quel pomeriggio assurdo in cui gli ha detto addio. Il giorno in cui ha ricevuto la lettera con la quale la okasan la accettava ufficialmente nella okiya. Ha dunque già perso la preziosaverginità e non avrebbe potuto rendere nulla alla sua okami (geisha mother) se l’antico rituale del Mizuage fosse ancora in vigore. A meno che non si fosse prestata al meschino espediente di alcune geisha del passato che indugiavano nel Mizuage numerose volte. Tante quanti erano gli ingenti guadagni che potevano ricavarne…  

E la famiglia? Una geisha non può sposarsi e avere figli, vero? Dopo un po’ di anni ne sente il desiderio?
In teoria possono avere dei figli, ma non sposarsi. Almeno finché desiderano lavorare come geisha. Molte tra loro ad un certo punto si innamorano e abbandonano la professione, per coniugarsi con l’amato.

Altre invece non la lasciano mai. Il 6 agosto 2007 Sotori ha compiuto 18 anni, è ancora troppo giovane per pensare al matrimonio. L’unico suo desiderio, in questo momento, è completare gli studi da maiko. Non sarà semplice riuscire ad arrivare fino in fondo, quindi è concentrata solo su questo.

Come viene vissuto il sesso in Giappone?
A questo proposito dobbiamo parlare meglio del Mizuage.
La madre dell’okami di Sotori è stata costretta a sottoporsi a questo rito cerimoniale per poter diventare una vera geisha. Il responsabile della cerimonia si comportava con la maiko come un fuco con l’ape regina: dopo aver espletato la sua funzione, non aveva più alcun legame con la fanciulla. Il Mizuage un tempo era un procedimento molto elaborato che si protraeva anche per sette giorni, quando il patrono vincitore desiderava aprirsi il varco nel corpo della maiko con le proprie dita, a poco a poco, molto lentamente, finché ella non era finalmente pronta per la penetrazione vera e propria. La okasan, oppure una delle geisha più esperte, preparava una camera adatta al rito e in essa collocava tre uova sul copriletto accanto al cuscino. Infine si ritirava in una stanza adiacente e da lì, ogni tanto, tossiva o si muoveva per rassicurare la maiko con la sua vigile presenza. L’uomo attendeva nella camera l’ingresso dell’apprendista e, al suo arrivo, la invitava a sdraiarsi: prima rompeva le uova e ingogliava i tuorli, poi strofinava gli albumi sulle cosce della fanciulla. E nel farlo pronunciava parole come: questo è il Mizuage, buonanotte mia cara … Poi spegneva la luce. La sera seguente la camera veniva preparata allo stesso modo e l’uomo si comportava nella medesima maniera: ogni volta però egli infilava le dita cosparse dello scivoloso albume un po’ più profondamente dentro di lei. Al termine della settimana rituale, la maiko si era abituata a questo procedimento ed era molto più rilassata. L’uomo a sua volta, rinvigorito dai sette tuorli d’uovo, poteva portare a termine il proprio compito senza ostacoli. Quindi egli spogliava la fanciulla della sua verginità, durante la notte ritenuta favorevole dall’indovino di fiducia. Solo dopo l’evento la maiko poteva cambiare il collare, dal rosso al bianco, e la pettinatura, dallo stile Wareshinobu all’Ofuku, divenendo una vera geisha e facendo il suo ingresso nell’età adulta.
Un tempo nessuna maiko poteva esimersene, se voleva che la sospirata metamorfosi in una geiko avesse luogo, per essere universalmente riconosciuta come tale nel karyukai. La verginità della giovane maiko veniva praticamente messa all’asta tra gli aspiranti acquirenti: ad ognuno dei pretendenti l’apprendista offriva un simbolico ekubo, un dolce di riso candido come la neve e con un evocativo cuore rosso al centro. In genere era la okasan a occuparsi di portare avanti l’asta, di sancire il vincitore e organizzare la relativa cerimonia: l’uomo che avrebbe avuto tale privilegio aveva una grande responsabilità. Non doveva quindi essere troppo giovane, un ragazzo sarebbe stato troppo rude! Al contrario doveva essere un gentiluomo molto anziano e molto ricco. La cifra pagata dal fortunato andava comunque all’okiya per sanare una parte del debito accumulato dalla fanciulla. Indubbiamente, un tempo, il sesso era semplice nel mondo delle geisha più anziane…
Una maiko era vergine e la sua iniziazione sessuale faceva parte della routine per diventare una vera geisha. Le ragazze giapponesi abitualmente mettono da parte i kimono dalle ampie maniche quando si sposano (cioè diventano adulte), le maiko lo fanno quando diventano geisha!
Un tempo, in entrambi i casi, il cambio nel tipo di kimono presupponeva l’acquisizione di una esperienza sessuale. Una geisha già in servizio e ancora vergine sarebbe stata inconcepibile quanto una ragazza già moglie e ancora illibata . Secondo molte okasan, ora la libertà di scelta della quale si gode ha confuso queste categorie ben definite. Una maiko di una nota okiya, una notte, è uscita di nascosto per incontrare il suo ragazzo e consumare con lui la sua prima notte… Un’altra geisha, molto famosa e apprezzata nel distretto di Kamishichiken, invece è ancora vergine… Tutto questo crea caos, secondo le okami più tradizionaliste, comunque io sono sicura che le giovani allieve siano felici di vivere come maiko oggi. Tutte le maiko sono liete che questo rito di passaggio non sia più in uso, perché altrimenti, tutte dovrebbero subirlo ancora. Nelle okiya quando si nomina (raramente) il Mizuage si intuisce sempre un lieve imbarazzo in alcune delle geiko più anziane, mentre le giovani ascoltano attentamente, ovviamente incuriosite.
Adesso le geisha (e le donne giapponesi in generale) hanno un maggiore controllo sulla propria sessualità rispetto al passato. Persino le geiko più anziane approvano pienamente che le loro figlie non debbano sottoporsi al Mizuage, ma questo implicitamente significa che le loro esperienze invece di essere ritenute un valido esempio per le più giovani verranno da loro scartate come feudali . Feudale è un termine usato, in Giappone, non solo con un significato storico/politico ma anche in riferimento a qualsiasi usanza considerata come fuori moda , obsoleta e non illuminata.
Dunque le geisha anziane parlano più liberamente di sesso quando le giovani non sono presenti… Temono di essere mal giudicate da parte loro, ma non è così!
Certamente loro non le giudichiamo per ciò che hanno vissuto, semplicemente sono liete di essere libere di scegliere con chi passare o non passare la prima notte e tutte le successive.

Ho letto che fare la geisha è un mestiere di lusso. Quanto guadagna una geisha? (ci puoi fare un paragone rispetto ad uno stipendio medio). Gli studi di una maiko ora sono molto costosi?
Sì, la formazione di una maiko è molto costosa e tutte le spese sono sostenute dalla okasan della okiya di appartenenza. Quando la maiko diviene una vera geiko e inizia a lavorare come tale, deve ripagare la sua geisha mother di tutte le suddette spese.
Una geisha apprezzata e stimata guadagna parecchio, anche se solo una parte della tariffa va a lei (il resto va agli intermediari della teahouse in cui lavora e della geisha house in cui vive). L’onorario varia secondo la fama e la bravura (la bellezza è un elemento secondario). Una geisha, per un’intera serata, riceve anche duemila o tremila euro. Non è poco ma le spese che deve sostenere sono ingenti. Comprare un kimono è molto costoso e loro devono indossare un tipo di kimono diverso ogni mese. Ciò significa che nell’armadio ce ne devono essere almeno tre, per ogni mese dell’anno: uno lo indossano, uno sarà in tintoria e l’altro è per le emergenze. Sono quindi trentasei kimono all’anno, e ogni kimono costa minimo dai diecimila ai quindicimila euro. E’ per questo che, generalmente, le geisha desiderano un mecenate. In Giappone esiste un registro delle geisha dove sono segnate quelle di città, che sono le uniche vere geisha. Il totale di queste è circa duemila. In tutto si arriva a cinquemila, contando anche le tremila onsen geisha (le apprendiste ). A Kyoto le geiko sono circa duecentotrenta, di cui cento sono maiko. Sul proprio sito l’associazione Ookini Zaidan fornisce la descrizione del complesso percorso che aspetta un’aspirante geisha. Le maiko vivono e lavorano in uno dei cinque kagai, o hanamachi, che erano un tempo i quartieri del piacere a Kyoto. I dati più vecchi attualmente consultabili parlano di 76 maiko a Kyoto nel 1965. A partire dal 1975 ce ne furono solo 28, e il dato si stabilizza di nuovo dopo il 1985, oscillando da 50 a 80 maiko. Fino al 1955 sembra che a Kyoto ci fossero più di 100 maiko, precisa Ito Osamu, un funzionario della Ookini Zaidan. Secondo l’associazione culturale l’interesse dei media per il mondo delle maiko è l’unico responsabile del recente aumento di aspiranti geisha.
Keiko, che ha 16 anni ed è di Osaka, è diventata la centesima maiko il 23 marzo 2008 quando si è svolta la cerimonia per il suo misedashi, con la quale è entrata ufficialmente in una esclusiva o-chaya ed è stata introdotta nel mondo delle geiko. “Sono molto felice”, ha detto Keiko. “Sognavo di diventare una maiko fin da quando ne vidi, per caso, una in televisione”. L’adolescente si è diplomata lo scorso anno alle scuole superiori. Ayano, 17 anni e nata a Tokyo, ha celebrato il suo misedashi il 6 marzo 2008, trovando informazioni su come diventare maiko in Internet dopo aver visto un famoso reality. Tokyo ha più o meno lo stesso numero di geisha rispetto a Kyoto. Vanishing world? No, sicuramente non scompariranno mai del tutto, ma la vera incognita sono i clienti perché molti dei più fedeli tra loro ora sono anziani. E anche essere un cliente è un’abilità e un mestiere.

Dunque nel 2008 c’è stato un boom di maiko grazie a Internet e alla televisione?
Navigare in Internet e guardare la televisione possono essere attività alquanto banali oppure esperienze che ti cambiano la vita, dipende da chi le sta facendo! L’Asahi Shimbun conferma che per un crescente numero di ragazze giapponesi Internet e TV sono stati determinanti nell’incoraggiarle a diventare maiko.
Per la prima volta in quarant’anni, nel 2008 il numero delle maiko, a Kyoto, è arrivato a quota cento, grazie al crescente aumento d’interesse verso la cultura tradizionale delle geisha di Kyoto. Le apprendiste geiko sono giunte qui da ogni parte del paese, dopo aver visto uno short drama di 15 minuti, che è in onda ogni mattina e racconta la vita di una maiko, e grazie anche ad alcuni eventi organizzati per promuovere il turismo nell’Antica Capitale.
Molte altre ragazze ne hanno voluto sapere di più dopo aver visitato il sito web della Kyoto Traditional Musical Art Foundation (Ookini Zaidan, ?????? ), il cui scopo è quello di tramandare alle nuove generazioni la musica e la danza tradizionali.
Il sito della Ookini Zaidan riporta dieci condizioni che un’aspirante maiko deve tenere sempre in mente e che sono requisiti necessari per intraprendere questo mestiere:

1. Maiko is an apprentice of professional female entertainer
It is not an ordinary job. Maiko is an apprentice who wish to be full hedge entertainer.

2. The age must be between 15 and 17
It is too late to start the training period when you finish high school (18 years old). The best timing is 15 years old.

3. The height should be shorter than 160 cm
A maiko should not be too tall. When you wear okobo (high wooden shoes), it will add another 10 cm on your height.

4. The weight must be over 43 kg
Because the maiko costume is really heavy, you have to be over 43 kg .

5. Parents’ consent
Because you are under 20, you need the permission from your parents to be a maiko.

6. Fondness to traditional Japanese entertainment
You don’t have to have an experience, but it is important that you have a sense of sound.

7. Fondness to Japanese life style
Everything is Japanese style: kimono, tea ceremony, flowers arrangement, ozashiki (Japanese room) manner and you have to use high wooden pillow when you go to bed. Therefore you must love Japanese style living.

8. Overwhelming patience
While you are in shikomi period (pre-training before maiko), everything must be learned: manners, washing, cleaning, shopping, other trivial things in the life and what is the most important is to learn how to speak Kyoto dialect.

9. No monthly tuition fee required
You don’t have to pay for anything. Everything including living expense, lesson fee, etc. are responsible for okiya.

10. Training period
Including shikomi (pre-training before maiko) and disciple period, you have to expect to spend 4-5 years as a maiko.

These are 10 necessary conditions to be a maiko, and of course this is not everything. Another important point is if you can make a good relationship with your elder maiko and geiko. The okasan (the manager) will strictly watch you while you are in training…

Il motto della Ookini Zaidan non lascia dubbi:

O – Otagai ni (each other)

O – Omoiyari (to respect others)

Ki – Kikubari shite (to be sensitive to others’ feelings)

Ni – Nikoya Ni (with smile)

Una maiko è, in genere, molto giovane: cosa spera per il suo futuro? 
Amore, solo questo desidera. E ora sa dove trovarlo. Sa perfettamente chi vuole essere: una geisha.
Sensuale e perfetta, assoluta padrona dell’arte d’amare se stessa. Ambisce a raggiungere la perfezione dell’Iki, null’altro vuole con eguale intensità. Una geisha custodisce la propria arte dentro se stessa e, poiché il suo corpo rappresenta tale arte, la sua vita è preservata. E’ questo il potere dell’Iki: l’eterna salvezza per l’anima di ognuna di loro.

 

Diario di una Maiko

Diario di una maikoMiriam Bendia 
Miyabi no Mai

Il cuore di un uomo è il cuore del Giappone e finché il cuore del Giappone batterà per una geisha, entrambi sopravvivranno.

Sotori M. è una maiko , una ragazza di diciotto anni che apprende l’Arte della geisha . All’età di soli quindici anni, è stata accettata in una okiya di Kyoto : sono così chiamate le boarding house che addestrano e ospitano le giovani maiko. Sotori persegue l’arte (gei) come vita: se per una geisha il gei è vita, allora è anche vero che la sua vita deve diventare arte. Levigare la propria esistenza in un’opera d’arte, per quanto possa sembrare un’ambizione elevata agli occhi degli stranieri, è l’idea che sottende alla disciplina di una vera geiko. E nulla lei vuole con più convinzione: desidera divenire l’incarnazione vivente dell’Iki.
La parola geisha è composta da due caratteri giapponesi: sha , persona , e gei , arte. Se maiko (fanciulla danzante) vuol dire danzatrice, geisha dunque significa artista. Tradizionalmente quella della geiko è l’unica professione che richieda un tirocinio più lungo di quello di un medico, con lo studio di materie che vanno dalla musica alla danza e al teatro, dal trucco alla poesia e ai vari argomenti di conversazione: se è sempre discreta, infatti, la più raffinata delle compagnie femminili non può permettersi nessuna lacuna culturale. Di conseguenza, non stupisce che oggi siano poche le adolescenti tentate dal seguire tale apprendistato. Tuttavia, non si può dire che fare la geisha non sia più un’ambizione!
Forse che quella della geiko, grazie anche al fascino delle giovani maiko, sia destinata a divenire la professione più ambita del terzo millennio?

Il karyukai (il Mondo del Fiore e del Salice in cui vive Sotori) è un sogno, un sogno che diviene realtà.

Miyagawa-choRecensioni e intervista all’autrice

 

 

Formato: 15,5 x 24 cm., Pagine: 192 con 36 foto a colori, ISBN: 88-89466-35-3 Prezzo: € 16,00

Concerto in Sol Levante

levanteMusiche e identità in Giappone Copertina 

di David Santoro

 

 

 

 

 

 

 

 

Intoccabili, nippobrasiliani, rappers di Tokyo e di Okinawa, giovani musicisti in fuga dalla logica di mercato, artisti gruppi sociali e popolazioni che fanno della musica uno strumento di affermazione e resistenza culturale.
Questi sono solo alcuni dei protagonisti di Concerto in Sol Levante, un libro per scoprire la storia e la realtà del Giappone moderno attraverso la musica e sfuggire ai nostri pregiudizi. Un racconto attraverso le parole dei protagonisti che mostra lo stretto legame fra tradizione e ibridazione e come nella cultura l’incontro prevalga sulla separazione.

Formato: 17 x 24 cm., Pagine: 281, ISBN: 978-8889466483 Prezzo: € 16,00

Storie di Uji

ujiA cura di Marco De Baggis

Alla scoperta di un inedito classico della letteratura giapponese L’Uji shūi monogatari è un testo di epoca Kamakura, e consta di 197 racconti e una introduzione. Non si conosce l’autore, l’epoca di formazione, e anche il titolo lascia adito a molti dubb.
I contenuti di quest’opera sono dei più vari, dal racconto di miracoli buddisti a pettegolezzi e storie comiche, leggende, fatti di corte, etc.

Le traduzioni di Marco De Baggis sono tutte corredate da un puntuale commento e note esplicative.
Primo e unico studio completo su questo classico in Italia.

Formato: 13,5x21 cm., Pagine: 144, ISBN: 88-89466-21-6 Prezzo: € 16,00