Intervista a Norio Nagayama

Per gli occidentali la parola “calligrafia” evoca la bella scrittura; in estremo oriente la calligrafiaè intimamente legata alla pittura, è un’arte e una pratica di vita. L’arte dello SHO comporta prima di tutto la padronanza del tratto, l’immediatezza del gesto, il ritmo, il controllo della forza impressa al pennello. Non si scrive con la mano e con il polso, ma con tutto il corpo, in uno stato di profonda calma e concentrazione. Un maestro calligrafo, pienamente padrone della tecnica e degli strumenti che utilizza, agisce in uno stato di totale libertà: perciò non solo l’opera compiuta affascina con la bellezza dell’armonia prodotta dall’equilibrio di pieni e di vuoti, di bianco e di nero, ma anche vedere un maestro mentre opera nello “stile libero” è esperienza di grande fascino. Il maestro osserva il foglio bianco e attende di essere pronto: improvvisamente impugna il pennello e con movimento rapido, preciso e sicuro traccia il carattere.

D: Maestro Nagayama, cosa significa ‘scrivere con il corpo’?

R: Corpo significa che arriva direttamente dal cuore. ‘Corpo’ vuol dire ‘tuo cuore’, ‘tua energia’; con il movimento del corpo è più facile raggiungere il ‘cuore’, quindi per questo motivo cominciamo dal braccio invece che dal polso, con il movimento che parte dal braccio è più facile raggiungere il corpo, no? Quindi una volta che sei arrivato al corpo, si raggiunge il cuore e allora si utilizza veramente l’energia. Anche quando fai un tratto minuscolo dovresti scrivere con il corpo, diciamo che il movimento parte dal cuore. Il pennello stesso deve diventare come il tuo corpo, non deve essere uno strumento che impugni e che ‘usi’. Se il pennello è un elemento estraneo allora disturba, e così non viene fuori la tua energia: non deve disturbare, proprio come se fosse il dito che tocca la carta. I samurai, i maestri di arti marziali, facevano con le armi questo stesso allenamento. I maestri di spada più illustri, quando erano inbattaglia, sapevano che è in un cambiamento di tocco che si muore o si vive. E questo tocco si allena con la Calligrafia, questo piccolo, minuscolo tocco e questo affinamento della sensibilizzazione: per questo i Samurai la praticavano. Come in combattimento, non si possono fare correzioni.

D: E l’errore? Basta un po’ di inchiostro in più, appoggiare poco più il pennello…
R: Sì, ma in realtà è diverso…usiamo carta raffinatissima, inchiostro raffinatissimo, pennello raffinatissimo. Basta un colpo, e il carattere è diverso, cambia, c’è una differenza: è questa differenza che in realtàè personale. Noi non creiamo una cosa personale, noi scriviamo ideogrammi, però diventa personale, perché è quello il motivo sottile che fa sì che ci sia, per esempio, una macchia qua: quella è la tua emozione che viene fuori, il tuo nervosismo, la tua fragilità, la tua forza. In questo la calligrafia aiuta moltissimo e questo tocco sembra sbagliato, ma è venuto fuori dal tuo inconscio. I buddisti dicono che nel momento in cui scrivi devi essere MUSHIN, mente-cuore vuoto, no? Cioè non devi pensare di fare una cosa, ma deve essere così, un gesto abbastanza immediato, che ti viene fuori come succede a uno che guida in autostrada, c’è un incidente, e uno bravo , senza pensare, riesce a evitare lo scontro. E’ proprio questo il movimento che riesce a fare il calligrafo, perché si è allenato tantissimo e allora quando la sua opera diventa personale è opera d’arte. Se invece fai una cosa pensata, la linea diventa debole, perché non è energia tua, ma è voluta dalla testa che pensa, quindi l’energia è già bloccata. Il gesto non è programmato: quando sento di dovermi fermare mi fermo. Il gesto non è pensato, e così come sei in quel momento, quando scrivi, così quello che sei viene fuori: oggi sono secco, allora anche l’inchiostro è secco, è diverso, e anche la carta…Alla fine dello studio capisci queste cose e ti viene fuori automaticamente. Ecco allora che ti arriva qualcosa, ti arriva questo segno, al di là delle forma o del carattere che scrivi, ti arriva un segno: come se fosse un bambino che fa un disegno meraviglioso. Così è la calligrafia, al tempo stesso raffinata, studiata e personale: è liberata.

D: All’occidentale profano appare come un insieme di segni astratti su un fondo bianco: come guardarla, cosa vede lei in una calligrafia?

R: Purtroppo il vostro occhio ha troppa poca esperienza di bianco e nero. In realtà ci sono migliaia di bianco e migliaia di nero, quindi ci sono molte tonalità diverse: dipende da come è stato sciolto l’inchiostro, dalla carta, dal pennello, da come uno lo muove… Quindi la prima cosa è la prima impressione: al colpo d’occhio si coglie la personalità che viene fuori. Poi ovviamente guardo l’estetica (architettura, armonia, ritmo), soprattutto com’è l’energiache esprime: l’energia interiore e l’energia esteriore. Ci sono calligrafie che hanno accumulato l’energia dentro, che la nascondono: altre che la buttano fuori: si vede bene l’energia che si proietta fuori nello stile corsivo mentre nel Kaisho (stile stampatello) l’energia si vede dentro. In realtà stiamo sempre scrivendo in maniera personale, che sia corsivo o Kaisho, perché ognuno ha un’energia, però deve essere libera.

Norio Nagayama

NagayamaNORIO NAGAYAMA sensei, VI dan della Nihon Kyoiku Shodo Renmei/Japan Educational Calligraphy Federation (J.E.C.F), scuola che ha come direttore il Calligrafo di corte che è stato maestro dell’imperatrice. QUalche anno fa Nagayama sensei ha ricevuto il titolo di “Maestro non più giudicabile”. Da circa 15 anni dirige in Italia la più importante scuola europea di shodo.

 

Norio Nagayama è autore di Shodo, Kaisho lo stile fondamentale, per Stampa Alternativa e Alla ricerca del toro (a cura di L. Maggio), per Il Nuovo Melangolo, Genova 1991.

Per CasadeiLibri ha editato Shodo lo stile libero; Basho 2008 (calendario) e Il segreto della calligrafia.

Recensioni Shodo Lo stile libero

Alias supplemento de Il Manifesto
Shodo di Marta Ragozzino

 

alias shodo

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Da YB Cinema, musica, arte e cultura

Fra i molti tesori che ci riserva la millenaria cultura del Sol Levante, una gemma preziosa risplende e rifrange la sua luce su tutte le altre arti: la calligrafia tradizionale, tuttora viva e praticata in Estremo Oriente ma da noi quasi sconosciuta e quasi del tutto incompresa. Finalmente anche in Italia è uscito un libro, in una squisita veste grafica, che ci invita adassaporare ed ad apprezzare lo Shodo , l’antica arte della calligrafia giapponese [Norio Nagayama, Shodo Lo stile libero. Calligrafia, tradizione e arte contemporanea, Casadeilibri, Padova 2005, pp. 128, € 25,00].
Splendidamente illustrato, il libro è diviso in quattro parti: un primo saggio ci introduce al significato simbolico dello Shodo , indicando il misterioso legame fra pennello, inchiostro, carta, sigillo, la cui armonia rimanda a un contenuto sapienziale che risale a tempi remoti, e che viene restituito alla possibilità delle nostra comprensione attraverso l’arcana bellezza della calligrafia; segue un’intervista al maestro Nagayama che parla della sua esperienza personale, del suo rapporto con questa antica arte, ma anche di come ‘guardare’ una calligrafia, e di cosa vi si può vedere; la terza parte è una ‘lezione’, in cui sono forniti interessanti elementi di comprensione di una calligrafia, attraverso immagini che mostrano significativi dettagli e visioni d’insieme; infine un corposo contributo di Bruno Riva indaga sui rapporti fra l’arte occidentale del novecento e lo Shodo , mostrando il ‘debito’ che molta produzione artistica contemporanea ha nei confronti della tradizione orientale, ma anche le reciproche influenze che hanno attraversato le esperienze concrete degli artisti d’oriente e d’occidente.
I diversi, molteplici aspetti della calligrafia tradizionale sono così presentati ad un lettore affascinato che viene guidato in un viaggio che tocca terre incantate e lontane, ma chegiunge infine, prima o poi, nel luogo ove è possibile l’incontro con il ‘diverso’: il cuore stesso. Ed è il cuore, centro dell’emozione ma anche dell’intelligenza, che permette di ‘ammirare’ la calligrafia, così come è dal cuore che origina la pratica stessa dello Shodo.
La parola giapponese Shodo (in cinese sho dao), che comunemente è tradotta con “ arte della calligrafia ” è composta da due ideogrammi: sho, arte della scrittura, e do, via e anche ricerca e comprensione della vita. Shodo allora significa “ ricerca e comprensione della vita tramite la pratica della calligrafia ”. Per gli occidentali la parola “ calligrafia ” evoca la bella scrittura; in Estremo Oriente la calligrafiaè intimamente legata alla pittura, è un’arte e una pratica di vita. L’arte dello Sho comporta prima di tutto la padronanza del tratto, l’immediatezza del gesto, il ritmo, il controllo della forza impressa al pennello. Non si scrive con la mano e con il polso, ma con tutto il corpo, in uno stato di profonda calma e concentrazione. Un maestro calligrafo, pienamente padrone della tecnica e degli strumenti che utilizza, agisce in uno stato di totale libertà: perciò non solo l’opera compiuta affascina con la bellezza dell’armonia prodotta dall’equilibrio di pieni e di vuoti, di bianco e di nero, ma anche vedere un maestro mentre opera nello “ stile libero ” è esperienza di grande fascino. Il maestro osserva il foglio bianco e attende di essere pronto: improvvisamente impugna il pennello e con movimento rapido, preciso e sicuro traccia il carattere.
Il maestro Norio Nagayama è in Italia da circa 15 anni: VIII Dan della Japanese Calligrafy Federation , scuola che ha come Presidente l’Imperatore del Giappone e come Direttore il Calligrafo di corte che è stato maestro dell’Imperatrice, alcuni anni fa ha vinto un concorso e gli è stato conferito il titolo di ‘Maestro ingiudicabile’. La lunga permanenza in Europa e il proficuo rapporto con allievi e collezionisti occidentali gli permette di saper rispondere con chiarezza ai dubbi e ai problemi che si presentano all’occidentaleprofano, al quale lacalligrafia appare come un’insieme di segni astratti su un fondo bianco. E’ quindi l’occhio che deve essere educato, per poter apprezzare le innumerevoli tonalità di bianco e di nero, e vedere attraverso di esse la personalità stessa dell’artista che viene fuori, la sua energia.Ma dove risiede l’essenza della bellezza di una calligrafia? E’ una corrente sottile, che scorre fluidamente nei caratteri, e che li fa vibrare, donando loro la presenza della tridimensionalità. E’ questa corrente che lo sguardo educato alla bellezza riesce a cogliere: « Ci sono calligrafie che hanno accumulato l’energia dentro, che la nascondono; altre che la buttano fuori: si vede bene l’energia che si proietta fuori nello stile corsivo mentre nel Kaisho (stile stampatello) l’energia si vede dentro. In realtà stiamo sempre scrivendo in maniera personale, che sia corsivo o Kaisho , perché ognuno ha un’energia, però deve essere libera. Non dev’essere la rigidità che porta a nascondere, no, deve essere libero e nascosto. Come se fosse aquila, che dico, nasconde unghie, no?».

Shodo – Lo stile libero

Calligrafia, tradizione e arte contemporanea

Norio Nagayama

LShodo Lo stile liberoo shodo, l’arte della scrittura estremo orientale, fonde un’antica tradizione spirituale con le innovazioni formali dell’arte contemporanea. Il libro, riccamente illustrato in bicromia contiene: uno studio sul simbolismo della calligrafia orientale, un’intervista al maestro Norio Nagayama, una sua lezione sul vuoto e sul pieno, un denso saggio sui protagonisti dello shodo contemporaneo e un’appendice sul rapporto tra l’arte d’Oriente e d’Occidente.

Frammento dell’intervista contenuta nel libro

Recensioni

Formato: 17 x 24 cm., Pagine: 128 illustrate un sedicesimo a a due colori, ISBN: 88-89466-03-0 Prezzo: € 25,00

Il segreto della calligrafia

SegretoIl segreto calligrafiamaestro Norio Nagayama

Qual’è il segreto della calligrafia?

Da noi, in Giappone, quando un allievo frequenta un maestro, è compito di questi trasmettergli il segreto della calligrafia.Quando andai a trovare il mio maestro e gli dissi che avrei cominciato ad insegnare calligrafia in Italia, egli mi fece vedere dei libri che usava per insegnare e mi mostrò dei trucchi con il pennello.  Nonostante conoscessi già tutti i suoi segreti, il fatto che lui li condividesse, accresceva la fiducia in me stesso.  Per questo vi svelerò, più che dei veri e propri segreti, alcuni trucchi della calligrafia.

Conoscere e riconoscere i materiali: la carta gli inchiostri e i pennelli. Padroneggiare le entrate e le uscite. Iniziarsi al segreto dei kanji. Ecco alcuni dei segreti della calligrafia che troverete in questo libro.

Dello stesso autore Shodo lo stile libero

Formato: 17 x 24 cm., Pagine: 104 a colori, ISBN: 9788889466759 Prezzo: € 18,00

Principe Shattan

Shattan, è un nobile mercante conosciuto come poeta ed esegeta. Fu uno degli ultimi membri del Sangam, la celebre accademia di poeti tamil le cui origini risalgono a una lontanissima antichità. Fu il protetto del re Chera Shenguttuvan che secondo lo Shilappadikaram (La Cavigliera d’oro) regnò per oltre cinquant’anni. Amico del principe Ilango Adigal, autore della Shilappadikaram , Shattan ottenne il suo benestare per la redazione della sua opera (il Manimekhalai) che narra il seguito de La Cavigliera d’oro. Shattan avrebbe anche avuto l’incoraggiamento d’Aravana Adigal, il grande maestro buddhista nell’India del sud che molti hanno identificato con lo stesso Nagarjuna.

Manimekalai
La ragazza con la ciotola magica

Manimekalai La ragazza con la ciotola magicaAttribuito al Principe Shattan

Capolavoro della letteratura tamil, la lingua principale tra quelle preariane sopravvissute nel sud dell’India, il Manimekhalai racconta, sotto forma di romanzo didattico, le avventure di una danzatrice che si converte al Buddismo. Il Manimekhalai rappresenta un documento unico, deliziosamente fresco e poetico, che illustra appieno le usanze e i piaceri, le sette religiose e le scuole filosofiche di una civiltà raffinata, e pone in questione molti nostri cliché sull’India antica. Per la prima volta tradotto in italiano lo scritto di Shattan inizia dove si interruppe quello del Principe Ilango AdigalLa cavigliera d’oro.

Tradotto e curato da Alain Daniélou
in collaborazione con  T.V. Gopala Iyer



Formato: 13,5x21 cm, Pagine: 224, ISBN: 978-88-89466-86-5 Prezzo: € 16,00

Alain Daniélou

Alain Danielou suona la VinaAlain Daniélou (1907-1994), poliedrico studioso dai natali francesi orientalista e musicologo di prima grandezza. Le sue opere sulla civiltà indiana spaziano dalla cosmologia alla musica, dall’arte alla filosofia e alla storia, dallo yoga all’erotismo.Dopo un’infanzia austera passata in Bretagna, Alain Daniélou frequenta gli ambienti avanguardisti parigini degli anni ‘30. Molto presto, però, l’Europa non riesce più a soddisfare le sue aspirazioni più profonde e inizia la sua lunga avventura intorno al mondo: l’America, l’Africa del pirata Henry de Monfreid, i bassifondi di Pechino, la Persia e l’Afghanistan, che per primo attraversa in macchina, e quindi l’India dove viene accolto da Rabindranath Tagore. Affascinato da questo paese, vi rimarrà per più di vent’anni. Si consacra alla musica tradizionale, studia filosofia, sanscrito e indi negli ambienti più ortodossi della città santa, pratica lo yoga e viene iniziato allo shivaismo. Ma non è che un nuovo inizio.
Daniélou studiò a fondo la musica indiana e fu nominato professore all’Hindu University di Varanasi nel 1949 per poi divenire direttore del College of Indian Music. Fu uno dei primi occidentali a fotografare assieme a Raymond Burnier gli antichi complessi templari dell’India; il loro lavoro fotografico sul tempio di Khajuraho è stato esposto al Metropolitan Museum di New York. Alain Daniélou fondò inoltre l’Istituto Internazionale per gli Studi e la Documentazione di Musica Comparata a Berlino e a Venezia.

Tra gli altri riconoscimenti, ricordiamo: il Premio UNESCO-CIM per la Musica (1981), la Medaglia UNESCO Kathmandu (1987), il Premio Cervo per la musica (1991). Fu inoltre nominato Ufficiale della Legione d’Onore, Ufficiale dell’Ordine nazionale al merito, Commendatore dell’Ordine delle arti e delle lettere (Francia) e Membro dell’Accademia Nazionale di Musica e Danza dell’India.

Di Alain Daniélou per CasadeiLibri

La Via del Labirinto, Ricordi d’Oriente e d’Occidente
Il Tamburo di Shiva
Il giro del mondo nel 1936
La scoperta dei templi
La fantasia degli dei e l’avventura umana
La saggezza assassinata, in Il Regno di Giano
Principe Ilango AdigalLa cavigliera d’oro
Aravana AdigalManimekhalai

 

 

Véronique Brindeau

Véronique Brindeau, già insegnante di storia della musica giapponese all’Institut National des Langues et Civilisations orientales e coordinatrice editoriale alla Cité de la musique.

Ha pubblicato delle traduzioni dei racconti di Ikezawa Natsuki e una raccolta di poesie di Ogawa Shizue. In Italia il suo delizioso Elogio del muschio ha riscosso un piccolo grande  successo di critica e di pubblico.

In preparazione Hanafuda, il gioco dei fiori

Recensioni Elogio del Muschio

Il Sole 24 Ore del 24 aprile 2014
di Gian Carlo Calza

Elogio dei muschi: titolo indovinatissimo. Fa subito venire alla mente quello del suggestivo Elogio della penombra di Junichiro Tanizaki – purtroppo reso in italiano con Libro d’ombra – ma tant’è. Come nel capolavoro del grande scrittore giapponese anche in questo si parla di realtà minime e profondissime. Tenute in nessun conto, se non addirittura spregiate, in Occidente, ma più che apprezzate in Asia e addirittura esaltate in Giappone. Vi si descrivono percorsi capaci di portare là dove la sapienza si ferma e di far riscoprire al cuore e ai sensi luoghi negletti della conoscenza.
In modo evidentemente ispirato a quel libro l’autrice, Véronique Brindeau, si muove col suo volume uscito per i tipi di CasadeiLibri studiosa e docente di musica giapponese a Parigi, sembra voler trasmettere nel libro una sensibilità, una ricerca di ritmo e ascoltazione necessarie per penetrare nel mondo stesso della musica. Con fare delicato e attento si addentra nell’universo dei muschi giapponesi e della loro cultura cogliendone la meraviglia, la ricchezza e la complessità. Sciorina davanti al lettore un universo di decine, centinaia di muschi laddove in Francia, suo paese natale, tre sole specie entrano nel lessico comune.
Attraverso pagine costellate di poesie e miti antichissimi, in cui il muschio è apprezzato e svolge un ruolo spesso centrale, nonché di illustrazioni avvincenti di parchi, giardini, boschi, templi e capanne preziose, questo elegante libretto apre la via a un tipo di conoscenza che è anche antidoto alla fretta, alla grossolanità e all’indifferenza verso le cose piccole, ma fondamentali e rigenerative dell’esistenza.
L’autrice accompagna la sua apologia dei muschi ad altri veicoli culturali che con essi s’intrecciano: bonsai, giardini, cerimonie del tè, templi quasi segreti.
Il Saihonji è un tempio di Kyoto che richiede una procedura particolare per l’ammissione. Oltre la prenotazione con vari giorni d’anticipo è necessario percorrere una strada a piedi per raggiungerlo e solo in gruppo una volta al giorno. È poi richiesto di trascrivere anche se non si conosca il giapponese quindi come si può un certo numero di caratteri di un sutra o discorso del Buddha. Quindi una serie di difficoltà per accedere a quello che è la principale attrazione del luogo sacro, vale a dire il suo celebrato giardino dei muschi.
Oggi nell’era della globalizzazione siamo costantemente sommersi da tsunami di saperi senza fine, e fine a se stessi, su tecniche, modi di pensare, forme estetiche di culture e società innumerevoli alcune anche che incombono più o meno minacciose sulle nostre realtà. E proprio questa massa di informazioni rischia di non creare nessun ponte di vera comunicazione perché il cuore non ha lo spazio, il tempo, di trafilarla con la decantazione, con l’esperienza.
E allora si capisce come queste difficoltà appositamente create abbiano lo scopo di creare tale spazio di attesa, silenzio e ascoltazione per meglio assorbire vivere, senza dover capire l’esperienza dell’incontro.
Ma funziona? Qualcuno si chiederà.
«Marco cominciò il suo lavoro come uno scolaro all’aperto e finì i duecento ideogrammi invaso o per meglio dire invasato di felicità. Felicità della vita, della perfezione di tutto, dal profumo che saliva dal tatami alla morbidezza del pennellino con cui egli tracciava felicemente gli ideogrammi di cui non capiva nulla. (…) anche qui la felicità di Marco era al suo massimo, senza alcuna punta di malinconia, ed egli si identificava sia con gli alberelli di acero percorsi da un venticello quieto e fresco, sia coi vari tappeti muschiosi e perfino con l’ombra e la luce che giocavano attraverso la polvere d’oro e gli aceri sul piccolo stagno dalle flottanti carpe. Qual genere di felicità era? Marco non lo sapeva, ma forse era proprio quella suggerita dalla filosofia Zen».
Ma quel Marco così poco giapponese e così profondamente italiano capace però di immergersi nel diverso da sé grazie alla lentezza del muschio e non solo, è Goffredo Parise che evoca questa e altre simili esperienze d’incontro, e anche scontro, col Giappone nel bellissimo L’eleganza è frigida.

 

ALIAS SUPPLEMENTO DE IL MANIFESTO 23 Dicembre 2013
Fenomenologie dei muschi
di  Andrea Di Salvo
Chinati verso un tempo delle origini, verso il suolo. Verso un basso che accompagna lo sguardo raso le cose, nell’universo d’ombra screziata che in un’onda ininterrotta sopra di esse ammanta un tappeto ovattato di smeraldo. Attratti verso l’infinitamente piccolo, il minuscolo, il modesto, l’apparentemente indistinto. Così, ben al di là delle svariate considerazioni di ordine botanico o paesaggistico ci proietta questa apologia dei muschi, dilatando il suo oggetto a viatico di un necessario cambio di prospettiva, in uno spaesamento che genera nuova attenzione. Così, almeno, per Véronique Brindeau nel suo Elogio dei muschi (traduzione di Lorenzo Casadei, Casadeilibri editore, pp. 110, € 18,00). Dove, per il tramite paradigmatico della pervasiva presenza dei muschi nei giardini e in tante forme espressive della cultura giapponese, l’autrice affettuosamente assume la fascinazione per l’alterità di quella civiltà e in specie per la costitutiva, particolare sensibilità del rapporto che essa intrattiene con la natura. Intima, rispettosa consuetudine qui emblematicamente testimoniata dalla mirabile varietà di nomi comuni riservati da questa lingua – come già alle nuvole, alle pietre da giardino o alle lanterne di pietra – ai muschi. In numero di trecento, stando alla guida tascabile di quelli del Giappone cui l’autrice attinge – e noi parafrasando – le delicate, immaginifiche descrizioni. Dal calligrafico “pennello di Yamato”, al profumato muschio cipresso, dal muschio “la brina che si posa”, al muschio “argento”, color cenere, fino al “muschio lanterna”, a quello detto “sigaro”, a quello “della memoria” … L’elogio percorre l’universo dei muschi evocandone l’impiego così nei giardini come nei paesaggi in miniatura o in quelli in vaso, procedendo per archetipi, oltre ogni declinazione cronologica. Dai sorridenti volti muscosi scolpiti nei giardini del tempio di Hoara, al Saiho-ji, il riscoperto Tempio del muschio di Kyoto, ricco dei suoi 120 tipi, con le composizioni di pietre coperte di muschi dei giardini d’influenza zen, fino al Ryoan-ji dove i muschi si fanno frange, margine, raccordo di vita nell’astrazione tra isole e mari di rocce. Risalendo su per i sentieri muschiati di rugiada che avviano al rito della cerimonia del tè. Fino alle moderne reinvenzioni nelle scacchiere di muschio cedro di Mirei Shigemori nel Tofuku-ji. Un lessico vivente di tessiture che dalle distese delle centinaia di muschi recenti del giardino di Hakone (1954) trascorre negli evanescenti confini di quelli di Komatsu a Koke no Sono, fino ai piccoli spazi dei giardini interni, quelli conclusi dei patii, invisibili dalla strada e senza orizzonti, o si condensa nei muschi-paesaggio, miniature giardino aperte al loro interno – dal vuoto di sabbia, al centro della composizione – verso un infinito senza limiti.
Se c’è una stagione speciale per ammirare i muschi – suggerisce l’autrice – è il mattino d’estate, rischiarato dopo un acquazzone improvviso; prima che la rugiada evapori o magari dopo che un gesto d’ospitalità, l’uchimizu,  ritualmente rianimi muschi e pietre del sentiero del giardino aspergendoli d’acqua, mentre dagli alberi un particolare tipo di luce tremolante, komorebi, cade filtrando figure e trasparenze del cammino, nel mormorio del vento.

 

La mia abitazione country&country Febbraio 2014

Si intitola così questo libro che ci accompagna con grazia verso gli antichi giardini giapponesie la poesia del Sol Levante. Ci si incammina verso uno di quegli spazi verdi che portano “alla casa del té, dove si reca chi vuole affrancarsi dal mondo”. Spazi che, naturalmente, sono tessuti di muschi, il cui regno incantato è tutto da scoprire e capire. Già, perché di muschi se ne parla poco, i giardinieri tendono ad eliminarli, i nomi botanici non sono tantissimi. In Giappone, invece, scrive Véronique Brindeau, “il suono dei loro nomi ne restituisce il colore e il movimento; i nomi disegnano la linea elegante di un cedro, il vapore delle nuvole, la cascata di un salice…” Si ha a che fare con pennelli da calligrafo, serpenti, nuvole di piccoli ombrelli… Insomma, vedere un muschio, dopo la lettura di questo volume, non sarà più come prima! “Immerso nel pensiero/dei ciliegi in fiore/sopra il muschio/stabilisco il mio giaciglio/e sonnecchio a primavera”.

Véronique BrindeauElogio del muschio