Komatsu Sakyō (1931-2011), pseudonimo di Komatsu Minoru (小松実), nasce a Osaka ma durante l’infanzia si sposta più volte all’interno del Kansai fino a stabilirsi a Kyoto per gli studi universitari, città in cui consegue una laurea in Letteratura Italiana con una tesi su Pirandello. Insieme a Tsutsui Yasutaka (n. 1934) e Hoshi Shin’ichi (1926-1997) è considerato uno dei tre padri della science fiction giapponese e gran parte della sua produzione prevede ambientazioni futuristiche in cui l’essere umano si trova a confronto con calamità naturali e catastrofi che rischiano di causarne l’estinzione. Cresciuto negli anni del secondo conflitto mondiale, come accade per altri autori legati al medesimo genere, le sue opere sono ampiamente influenzate dalla sconfitta subita dal Giappone, che sovente si riflette nei ritratti creati dall’autore di un paese sul punto della disgregazione e della distruzione totale. Frutto di tale sensibilità è Nihon chinbotsu 日本沈没 (Il Giappone affonda, 1973), il lavoro più conosciuto di Komatsu e di cui si hanno anche riadattamenti manga, televisivi e cinematografici di ampia risonanza: realizzata nell’arco di nove anni, l’opera si dipana intorno alla figura di un geografo che, da uno studio dei fondali marini, giunge a scoprire che nell’arco di appena due anni l’intero Giappone sarebbe stato sommerso dalle acque e divenuto pertanto invivibile. L’idea di base da cui scaturisce il romanzo è ipotizzare la sorte del popolo giapponese – fortemente radicato nel suo particolarismo culturale – qualora si trovasse nella condizione di dover abbandonare il paese, ma l’autore sceglie di modificare tale orientamento in itinere per focalizzare la propria attenzione su aspetti riguardanti tecnologie e macchinari – passione trasmessagli dal fratello maggiore, un ingegnere meccanico – arrivando a introdurre nel narrato strumentazioni e strutture industriali non ancora in uso o solo in fase di sperimentazione all’epoca della compilazione dell’opera, quali l’attuale Aeroporto Internazionale di Narita o il sottomarino utilizzato dal protagonista per scendere negli abissi a una profondità di diecimila metri. In realtà è molto più ampia la gamma di generi letterari attraverso i quali si esprime l’arte di Komatsu e non mancano lavori riconducibili al modo fantastico: per quanto riguarda i romanzi, il suo approccio al sovrannaturale appare sempre vincolato da una struttura basata sul sapere scientifico, mentre invece nei racconti brevi la componente razionale si perde lasciando spazio al fantastico, come accade ai protagonisti di Yūrei jidai 幽霊時代 (L’era dei fantasmi, 1968) che compiono un viaggio nel mondo dei defunti. Famoso per essere un grande amante dei gatti, fin dall’età di 4 anni ne alleva alcuni in casa propria e anche dopo il matrimonio e il trasferimento in un’abitazione di modeste dimensioni non rinuncia a circondarsi di animali. Diverse sono le opere in cui viene rappresentato un felino, ma è il breve saggio Wagaya no geba neko 我家のゲバ猫 (Il nostro gatto attaccabrighe, 1976) a fornire un vivido spaccato del rapporto tra lo scrittore e il suo gatto: qui Komatsu illustra il carattere di Ciao, l’animale che ha accudito insieme alla moglie, un bizzarro gatto che preferisce frutta e verdura al pesce e che per saziare la sua fame di vegetali giunge addirittura a rubarli dalla bancarella del fruttivendolo tra lo sgomento del suo padrone e del commerciante.
(Scheda di Diego Cucinelli)