Kyōgoku Natsuhiko 京極夏彦

kyogokuKyōgoku Natsuhiko (n. 1963), attivo dalla metà degli anni Novanta e ampiamente premiato e acclamato da pubblico e critica a livello nazionale, nasce a Otaru, una cittadina dello Hokkaidō occidentale situata tra il monte Tengu e la baia di Ishikari. Si occupa di design, ma l’interesse per gli yōkai 妖怪, le creature sovrannaturali del patrimonio folklorico giapponese, lo spinge a tentare nuove vie di espressione. Il debutto letterario avviene nel 1994 con il romanzo Ubume no natsu 姑獲鳥の夏 (L’estate della partoriente fantasma), opera in cui confluiscono le sue varie competenze: il suo passato da designer  affiora nelle accurate copertine che contengono modellini in resina di yōkai da lui stesso realizzati, e le sue ricerche sul mito e folklore traspaiono tra le maglie delle narrazioni sotto forma di citazioni di antichi testi giapponesi e cinesi. La produzione di Kyōgoku, in continua oscillazione tra fantastico e mystery, al momento in cui scriviamo consta di circa cinquanta opere, per la maggior parte voluminosissimi romanzi, caratterizzati dalla spiccata tendenza dell’autore alla serializzazione. I suoi principali progetti editoriali – le serie di romanzi “hyakki yagyō” (Parata notturna di cento demoni), “hyaku monogatari” (Cento racconti) e “edo kaidan” (Storie spettrali di Edo) – sono infatti accomunati da alcuni personaggi, come a esempio il celebre “detective dell’incubo” Chūzenji Akihito, e dai continui riferimenti a superstizioni e pratiche magiche del periodo Edo, da cui Kyōgoku trae costante ispirazione. Nel corso degli anni, tuttavia, decide di estendere i propri orizzonti e sperimentare nuovi generi, intraprendendo così un percorso che lo conduce alla science fiction, il secondo pilastro portante della sua produzione. Per la serie di romanzi chiamata “loups garous” (licantropi), infatti, inaugurata nel 2001 dall’omonimo romanzo, rivolge per la prima volta il proprio sguardo a contesti culturali diversi dal Giappone: è Der Steppenwolf, (Il lupo della steppa, 1927) di Herman Hesse a fornire l’idea di base da sviluppare – l’incomunicabilità e l’isolamento dell’essere umano – ma Kyōgoku la inquadra all’interno di un contesto urbano futuristico ben distante dalle ambientazioni storiche e retrò dei precedenti lavori, una società in cui gran parte delle comunicazioni avvengono tramite monitor portatili e l’unico luogo di aggregazione per gli adolescenti protagonisti dell’opera è costituito dall’edificio scolastico. Naturalmente, a tale background si aggiunge il tocco speciale di Kyōgoku che proietta ombre gotiche sulla scena, realizzando così un thriller psicologico di forte impatto. Già dalla fine degli anni Novanta si dimostra estremamente attivo nell’organizzare mostre e altre iniziative per la diffusione del patrimonio iconografico relativo alle creature sovrannaturali, attività che gli è valsa il titolo di “ambasciatore cultura degli yōkai”, e partecipa al comitato editoriale di Kwai 怪 (Mistero), la rivista trimestrale che costituisce un punto di riferimento indispensabile per gli esperti di yōkaigaku (妖怪学), gli “studi sulle creature sovrannaturali”. L’attività di “ambasciatore” prosegue con lavori corali e curatele di saggi di massima rilevanza in collaborazione con altri esperti del settore, quali l’antropologo Komatsu Kazuhiko (n. 1947) e il critico letterario Higashi Masao (n. 1958): dal 2000 approda anche al piccolo schermo con la serie televisiva Kyōgoku Natsuhiko – Kai 京極夏彦 – 怪 (Kyōgoku Natsuhiko – Mistero), curandone i testi e i dialoghi e, più tardi, nel 2005, produce il film Yōkai Daisensō (La grande guerra degli yōkai), remake dell’omonimo successo cinematografico del 1968 del regista Kuroda Yoshiyuki (n. 1928).

(Scheda di Diego Cucinelli)

Kurahashi Yumiko 倉橋由美子

Kurahashi Yumiko (1935-2005), pseudonimo di Kumadani Yumiko (熊谷由美子), è una scrittrice originaria della prefettura di Kōchi, nell’isola di Shikoku, regione densa di spiritualità. Molte antiche superstizioni legate al folklore locale – in particolar modo quelle relative a pratiche negromantiche – sopravvivono anche ai nostri giorni continuando ad affascinare artisti, appassionati di spiritismo e turisti che si recano sull’isola per visitare i luoghi menzionati in leggende e aneddoti, in particolar modo quelli legati al mondo dello shintō 神道 (lett. “via delle divinità” ). Anche Kurahashi Yumiko non sembra fare eccezione: la sua letteratura è radicata in una dimensione sovrannaturale popolata da figure non del tutto umane, spesso ibridi che comprendono elementi tratti dal mondo animale o di derivazione fantastica o spiriti privi di corporeità che interagiscono in vari modi con il mondo dei vivi. Figlia di un dentista, fin dalle scuole superiori dimostra un grande slancio verso la letteratura, tuttavia seguendo la volontà del padre si iscrive in un istituto di odontoiatria, ma al contempo – all’insaputa della famiglia stessa – segue un corso di Letteratura Francese presso l’Università Meiji di Tokyo, appassionandosi in particolare ad autori quali Camus, Sartre e Kafka. È in questi anni che giunge al debutto letterario: un suo racconto breve, Parutai パルタイ (Partei, 1960) viene inizialmente pubblicato su una rivista dell’ateneo e in seguito sulla prestigiosa Bungakukai 文學界, portando la giovane nel novero dei finalisti del famoso Premio Akutagawa (Akutagawashō), massimo riconoscimento per un lavoro di letteratura pura. Dopo la morte del padre vive un periodo di depressione che la allontana dalla letteratura ma il matrimonio e una esperienza di studio in America riusciranno a farle riprendere coraggio e produrre nuovi lavori. Nel 1987 riceve il premio Izumi Kyōka con Amanonkoku ōkanki アマノン国往還記 (Cronache del viaggio nel paese di Amanon, 1986), un lungo romanzo visionario in cui un predicatore giunge in un’isola abitata da amazzoni che hanno rigettato ogni forma di spiritualità e tenta di rivoluzionarne il sistema. Considerata una delle più alte esponenti della letteratura femminile contemporanea, Kurahashi riesce a fondere raffinatezza, sensualità ed elementi grotteschi in un prodotto letterario che coinvolge il lettore per le sue tinte sovrannaturali, molto spesso ispirate al folklore giapponese e cinese, come nel racconto breve Kubi no tobu onna 首の飛ぶ女 (La donna con la testa volante, 1985), in cui riprende una creatura dell’immaginario popolare la cui testa si stacca dal corpo e, sfruttando le orecchie a mo’ di ali, incontra in piena notte l’amante che il padre le impedisce di frequentare.

(Scheda di Diego Cucinelli)

Kanai Mieko 金井美恵子

Kanai Mieko (n. 1947) nasce a Takasaki nella prefettura di Gunma, luogo dalla natura sterminata e in cui il legame con la tradizione culturale si rivela ancora particolarmente profondo. Fin da bambina prova uno spiccato amore nei confronti dei gatti e, come lei stessa specifica nel saggio Mayoineko azukattemasu 迷い猫あずかってます (Il mio gatto è un trovatello, 1993), la passione è condivisa dagli altri membri della famiglia. Questo lavoro che trova una collocazione particolare nella produzione di Kanai, incentrata prevalentemente su racconti di breve lunghezza e poesie, mette bene in luce l’esperienza con i felini e, più nel dettaglio, il rapporto con Toller (torā, トラー), un randagio intrufolatosi nell’appartamento di Tokyo della scrittrice e che lei ha amorevolmente accolto. Già nella copertina – opera della sorella, la pittrice Kanai Kumiko (n. 1945) – viene sottolineato come il testo rappresenti “un saggio sdolcinato composto da una scrittrice di letteratura pura che adora i gatti” e nei sedici capitoli in cui si suddivide viene dedicato ampio spazio a descrivere minutamente usi e gusti di Toller, il suo atteggiamento snob nei confronti del salmone in scatola di basso costo e i lunghi pisolini davanti alla stufa. Alla morte del gatto rimasto con lei per ben diciassette anni, Kanai decide di non avere altri animali per un po’ e ne spiega alcune ragioni nel saggio Neko no inai seikatsu no yosa ni tsuite 猫のいない生活の良さについて (Sulle cose buone di una vita senza gatti, 2011). Da un lato, una questione di tipo pratico, in quanto la scrittrice sottolinea come sia difficile per un’amante dei viaggi come lei soddisfare la propria passione avendo da accudire un gatto in casa. Dall’altro, invece, una motivazione desueta, che rispecchia il carattere di Kanai, imprevedibile e passionale: nel saggio infatti afferma che dopo la morte del gatto è finalmente tornata a mangiare uno dei suoi cibi preferiti, lo okara, che per lunghi anni aveva evitato in quanto la polpa di soia era uno dei componenti della lettiera di Toller. In realtà, come spesso avviene nelle opere di Kanai, le riflessioni condotte nel corso del testo racchiudono un aspetto più profondo, che va cercato nel legame tra la vita dell’artista e quanto riportato nei vari scritti: il flusso di coscienza e la psiconarrazione che ne caratterizzano la produzione trovano spazio anche all’interno di questo saggio, che molto sembra attingere al mondo degli zuihitsu. Se normalmente i suoi lavori di prosa e poesia si distinguono per l’assenza di marcatori convenzionali (fisici, anagrafici ecc…) e antroponimi, in Mayoineko kattemasu il nome di Toller compare un numero di volte decisamente eccessivo. Tali ripetizioni vengono abilmente articolate dalla penna dell’autrice sfruttando le possibilità offerte dalla lingua giapponese – ovvero variando i grafemi che lo compongono – e hanno la funzione di rendere ancor più palpabile l’immagine del gatto, per distinguerlo dalla soggettività indefinita dei personaggi dei lavori di fiction.

(Scheda di Diego Cucinelli)