Recensioni FLORIO

ALIAS DOMENICA (18 maggio 2025) 

John Florio, un elisabettiano d’Italia: saggio di Frances Yates

INGHILTERRA, XVI E XVII SECOLO «John Florio», da Casadeilibri

di Luca Scarlini 

Prima di dedicarsi ai saggi della maturità sui Rosacroce e a quelli molto noti su Giordano Bruno fra gli altri, Frances Yates aveva licenziato agli esordi della sua attività di studiosa eclettica una monografia su John Florio, che esce ora in una edizione curata da Giorgio Ghiberti per Casadeilibri (pp. 486, € 30,00), editore che nel 2014 ha proposto una biografia della stessa Yates, a firma di Marjorie R. Jones. I primi interessi della storica erano concentrati sulla cultura francese del Rinascimento e i suoi effetti in Gran Bretagna, da qui l’interesse per lo scrittore di origine italiana, che aveva tradotto magistralmente l’opera di Montaigne. Florio era figlio di valdesi, originari della Toscana (forse Siena, o Lucca),  fuggiti a Londra  dalla Valtellina per le persecuzioni religiose, dopo che per un editto della corte avevano dovuto abbandonare il paese, vagando tra Strasburgo e la Svizzera. Al tempo in cui Yates scriveva molte erano le biografie lacunose degli autori rinascimentali in Inghilterra: il primo interesse del libro è ricostruire, con grande precisione, l’ambiente dei transfughi religiosi, che avevano trovato ospitalità oltre la Manica. Il padre di John, Michelangelo, era predicatore nella chiesa degli italiani, che gli assicurava un reddito, ma, agitato da diverse tensioni, si scontrò con la comunità, per questioni teologiche,  nel momento in cui si affermava il radicalissimo pensiero di Bernardino Ochino, che divulgava la teoria della predestinazione e predicava la poligamia trovandone il fondamento nella Bibbia. Florio abbandonò quindi il mondo religioso e divenne docente di lingua italiana, materia che appassionava le élites britanniche, inclusa la regina Elisabetta, con cui forse ebbe relazioni didattiche. A venticinque anni, di ritorno a Londra, pubblicò nel 1578 il libro d’esordio, I primi frutti, che trae ispirazione dalle Hore di ricreatione di Lodovico Guicciardini e dal Libro aureo di Antonio De Guevara, in cui riscriveva Marco Aurelio.

Negli anni tra il 1583 il 1585, lavorando presso l’ambasciata francese, Florio conobbe Giordano Bruno (da lui definito «il mio vecchio compagno nolano»), con cui ebbe un intenso scambio intellettuale. Compare ne La cena delle ceneri, come latore dell’invito di Fulke Greville per un trattenimento-dibattito a cui partecipano anche un cavaliere e due teologi luterani di Oxford. A questo incontro determinante, l’autrice dedica il quinto capitolo del libro. Negli anni seguenti la ricerca intellettuale porta Florio ad altri due risultati importanti: nel 1591 escono i Secondi frutti, una collezione di parole e di esempi, con seimila proverbi italiani di cui si  ritroverà traccia nelle opere di Shakespeare, ciò da cui nasce la celebre teoria, più volte affermata e smentita, per cui il Bardo sarebbe da identificarsi con lo scrittore italiano. Nel 1598 comparve poi A World of Words, primo dizionario di italiano, che permise agli intellettuali inglesi di potere frequentare con più agio le pagine di Boccaccio e Dante. Opera giovanile di Yates, questa biografia è notevole nella ricerca dei reperti culturali di un’epoca contrastata, in cui le ideologie e le religioni si scontravano continuamente, esponendo gli intellettuali a possibili ascese (Florio fu protetto dal principe Henry e ebbe grandi successi sotto il potere della regina Anne) e a repentini disastri (lo scrittore perse tutto dopo la morte del suo protettore). Il libro è del 1934: l’autrice scriveva in un passaggio storico imbevuto di retorica imperiale, che gli scrittori del Bloomsbury Group avevano da poco passato al filo di spada dell’ironia più selvaggia. Basti l’esempio di Lytton Strachey nel crudele La regina Vittoria (1928), senza scordare gli affondi leggiadri del coevo Orlando di Virginia Woolf. Il lavoro di Yates proponeva documenti nuovi, frutto di lunghe ricerche, e così come nel celebre studio dedicato a Bruno, John Florio è anche la ricostruzione di un’epoca, in un testo che tiene insieme il disegno complessivo e i dettagli di un’esistenza complessa, guidata dalla ricerca intellettuale del confronto tra culture e paesi, fino all’ultima impresa: la collaborazione all’edizione completa del Decameron boccaccesco, la prima in lingua inglese, destinata, come la versione di Montaigne, a notevole fortuna.

RECENSIONI KUNIO

Quaderni Asiatici 149 – marzo 2025

Diego Cucinelli (a cura di), Fiabe e leggende del Giappone. Antologia degli scritti di Yanagita Kunio, CasadeiLibri Editore, Padova, 2024, pagine 253, Euro 21,00. ISBN: 9791280146175

Questo libro ha il grande merito di far conoscere per la prima volta al pubblico italiano alcune opere di Yanagita Kunio (nato Matsuoka Kunio, 1875-1962), il padre degli studi giapponesi moderni sul folklore (minzokugaku). Come ci racconta Chiara Ghidini nella prefazione, Yanagita iniziò la sua carriera come funzionario del Ministero del Commercio e dell’Agricoltura, un lavoro che lo portò a contatto con i contadini e la loro vita. Da qui iniziò il suo interesse per le tradizioni autoctone. Nella sua attività confluirono il desiderio di comprendere e trasmettere i valori autenticamente giapponesi, come avevano fatto i kokugakusha (studiosi delle cose nazionali) del periodo Tokugawa (1603-1867) e quello di progredire nella comprensione di “questioni che possano gettare luce sul passato dell’umanità intera”. In questa seconda direzione lo spinsero inizialmente i suoi interessi letterari, che includevano la letteratura occidentale e gli fecero conoscere l’esistenza del sostrato precristiano della cultura europea attraverso autori come Ibsen e Anatole France.Successivamente, con lo studio sistematico delle fiabe, arrivò inevitabilmente a scoprire temi e motivi ricorrenti in Paesi anche lontanissimi tra loro. “Sebbene non possiamo spiegare con certezza il fenomeno, esso suggerisce l’esistenza di una causa profonda e sconosciuta” scrive Yanagita, e più avanti, tirando le somme sul lavoro suo e dei suoi allievi e colleghi in Giappone: “…forse inconsciamente, abbiamo iniziato a distinguere e interpretare, attraverso l’iniziativa dei nostri studiosi, questioni di grande rilevanza per il passato dell’umanità”.

La ricerca di Yanagita del carattere nazionale giapponese si concentrò quindi sulla cultura orale diffusa nelle campagne e tra le montagne, escludendo la città. Di questa cultura fanno parte sia le fiabe che le leggende. Qual è la differenza tra le due? Nella bella metafora di Yanagita, “le fiabe svolazzano di luogo in luogo: le si può trovare nella stessa forma dovunque si vada. Le leggende, al contrario, mettono radici in un luogo specifico dove crescono stabilmente”. Nelle parole più precise della postfazione di Diego Cucinelli, “mentre le fiabe hanno un incipit in genere privo di coordinate spazio-temporali precise e non entrano nei dettagli onomastici dei protagonisti […], la leggenda […] è connotata da precisi dettagli toponomastici e onomastici, nonché da riferimenti temporali. Le fiabe, infatti, non nascono per indurre le persone a credere al loro contenuto bensì principalmente a intrattenerle, mentre le leggende propongono una presunta verità, ossia intendono illustrare al fruitore l’origine di un determinato fenomeno e la natura dello stesso”. Le leggende tradotte in questo libro sono tre: Le origini del Daishikō, Storie e leggende di pesci con un occhio solo e Divine schermaglie. Il Daishikō era una festività dedicata al monaco Kūkai (774-835), conosciuto dopo la sua morte con il titolo di Kōbō Daishi (Gran Maestro Propagatore della Legge). Esaminando le leggende che parlano di lui, in cui “sembra essersi adirato o rallegrato un po’ troppo” e in cui spesso compare una donna anziana, Yanagita giunge alla conclusione che Daishi non significasse “Gran Maestro”, ma “figlio primogenito/a” (le due parole sono omofone), riferito a un dio bambino, che compare sempre con una donna accanto. Il fraintendimento sarebbe stato creato da persone alfabetizzate che, sentendo la gente di campagna nominare “Daishisama”, pensarono che parlasse di Kōbō Daishi. Per quanto riguarda la donna anziana, “l’uba, la ‘vecchia’, era in origine semplicemente una donna” a cui con il tempo si cominciò a pensare come ad un’anziana. Yanagita conclude: “[…] nelle storie trasmesse in Giappone dal passato si affacciano tuttora un bel po’ di fanciulli belli e vispi, in compagnia di una vecchia”.

Nel secondo saggio Yanagita passa dai pesci agli esseri umani o divini con un occhio solo, per concludere come le creature con questa caratteristica, pur suscitando “sia curiosità sia paura”, siano considerate predilette dalle divinità. Nell’ultimo discute le leggende sulle liti tra divinità, che riflettono a volte anche le rivalità tra fedeli, ma Yanagita ammette che è molto difficile comprendere la causa della nascita di queste leggende, che si perde nel tempo.

Tra i saggi su altri argomenti il più interessante è senz’altro La vita tra i monti, tradotto solo parzialmente data la sua estensione. Vi si discute, tra l’altro, il motivo per cui la divinità della montagna è spesso ritenuta femmina, e si parla della yamauba, o yamanba, e del suo corrispettivo maschile, lo yamachichi o yamajiji (rispettivamente “vecchia della montagna” e “vecchio della montagna”), enfatizzandone la caratteristica di cercare la compagnia umana piuttosto che l’isolamento e la ferocia. Almeno, questa è la caratteristica che viene attribuita a questi due personaggi dalla maggior parte delle testimonianze di chi le avrebbe incontrate, la cui attendibilità come fatti reali è peraltro decostruita dallo studioso.

Le due figure compaiono anche in due delle fiabe raccolte nel volume, Il mandriano e la yamanba e Lo yamajiji che legge il pensiero. Nelle altre fiabe si trovano, tra gli altri, i temi dei matrimoni interspecie, dei “bambini di nascita meravigliosa” e della riconoscenza degli animali verso gli esseri umani.

In conclusione il volume, offrendo una panoramica chiara ed esaustiva del percorso di Yanagita e delle tematiche su cui ha aperto un dibattito che continua tuttora, è un ottimo strumento per chi voglia cominciare ad accostarsi al folklore giapponese anche senza essere uno specialista.

 Irene Starace

 

ALIAS DOMENICA

Motivi sovrannaturali e strane creature negli scritti di Yanagita Kunio

Bushido e il Cristianesimo

Sasamori Takemi, Bushido e il Cristianesimo

Nel suo libro Bushido e Cristianesimo, uscito per la prima volta in Giappone nel 2013, il rev. Sasamori espone la sua visione con riferimenti alla storia e ai miti del Giappone e agli insegnamenti della Bibbia, sullo sfondo della sua personale storia di uomo cresciuto in una famiglia di origini samurai, nell’intento di mostrare dove dottrine apparentemente molto distanti possono convergere e portare nelle nostre esistenze una maggiore pienezza di significato.

bushido–e-cristianesimo-coverISBN  979-12-80146-12-0

Recensioni LA Campana Sommersa e L’Ascensione di Adele

Levante News LA Voce del Tirreno

UNA MISSIONE PER LA GIUNTA CHE VERRÀ

Rapallo: a Roma “tolgono la polvere” dalla targa di Hauptmann, nume dimenticato da 30 anni

Siamo consapevoli che la posterità di Gerhart Hauptmann sia roba difficile da inserire in un programma elettorale, ma anche il sonno ormai trentennale della memoria di questa Premio Nobel – a cui cento anni fa una Rapallo colta e cosmopolita guardava con ammirazione – ha fatto il suo triste tempo. Consigliamo dunque agli aspiranti assessori o incaricati alla cultura di non lasciarsi sfuggire “La campana sommersa e l’ascensione di Hannele”. Da qui, dalla traduzione di due capolavori del teatro simbolista, si può ripartire per diffondere la conoscenza di Hauptmann al pubblico italiano. La riscoperta del drammaturgo tedesco da parte del mercato editoriale nostrano, di cui va dato merito all’Editore romano “CasadeiLibri” e ai curatori Eduardo Ciampi e Inesa Serbayeva, dovrebbe essere una vera e propria notizia nella città che in Hauptmann – parole e musica del giornalista Carlo Linati – aveva il suo “nume indigete”, la sua divinità protettrice.

La targa affissa nel 1995 sul muro del Palazzo di Via Avenaggi che ne ricorda il primo soggiorno, nel 1925, è oggi lettera morta in cerca di un nuovo “perché”; un “perché” che non dovrebbe essere difficile individuare nella sorprendente attualità dell’autore. Scrivono Ciampi e Serbayeva: “Nella cosiddetta era industriale, il rapporto dell’uomo con la natura viene a mutare radicalmente (…) L’idea della sacralità del creato viene completamente annullata e sostituita dal principio dell’io dominante. L’uomo non è più il perno che mantiene e controlla l’equilibrio biologico e spirituale della terra: è un predatore vorace che la assale, la colonizza e la ferisce”

.Ne “La campana sommersa” – fra debiti goethiani e richiami alla tradizione fiabesca dei fratelli Grimm – va in scena il conflitto fra il cristianesimo e il paganesimo, fra il Dio Personale e l’Assoluto simboleggiato dal Sole, fra il Maestro Enrico e il gli esseri soprannaturali disturbati dall’affaccendarsi dell’uomo, un dramma che indica la necessità di una riconciliazione che ancora interroga la nostra weltanschauung. L’autore tedesco ha anche il merito di esplorare terreni fragilissimi e intrisi di emotività – come la morte per suicidio di una bambina, Hannele – offrendo chiavi di lettura che sottraggono la morte alla visione disperata che ne ha l’uomo moderno: “Il bambino, non separando la vita dalla morte, il sogno dalla realtà, si fida dell’esperienza della sua anima, e non della coscienza empirica di veglia”. In Hauptmann la morte – angelo in veste nera – è forte e bella. E’ difficile distinguerla dalla fiaba. “Il bambino, che vive nel mondo della fantasia (…), attraverso la morte, manifestato sotto forma di fiaba, è liberato dall’incessante obbligo dell’essere (…) Hannele diventa figlia del cielo (…), l’ascensione è un’impennata dell’anima, un’eccitazione festosa”.Agli occhi dell’uomo di oggi Hauptmann si muove sul limite della provocazione e del tabù, sfidando sia la moderna visione scientifica della natura sia il terrore della morte che nutre una società arroccata sulla vita biologica come sua unica, possibile dimensione esistenziale. Qui, nella capacità di condurci oltre gli schemi più usurati del nostro tempo, risiede la sua preziosità. La sua riscoperta è allora qualcosa di più di un vezzo intellettuale o di una vanità di provincia. È una missione spirituale che Rapallo, città priva da decenni di una missione sullo scenario culturale italiano, può prendere sulle sue spalle anche in vista della riapertura delle “Clarisse”, a cui un nume indigete non guasterebbe affatto.

TANGO la danza sconfinata

TANGO LA DANZA SCONFINATA

Il tango da respirare, ascoltare, ballare. Come danza, improvvisazione, condivisa nelle coppie in pista. Non fissato una volta per tutte. E allora, perché scriverne? La scrittura definisce e circoscrive i suoi oggetti e il tango inafferrabile. Ma, se lo si vive, si cerca di farlo proprio, di conoscerlo, di entrare nel suo mistero. In milonga, in scena, sugli schermi, nelle onde e nei ritmi della musica, il tango rinasce ogni notte, viaggia i continenti, cambia musica, instancabilmente. Non solo tacchi e spacchi, bravura mascolina, passione e seduzione – anche – ma geometrie e architetture, ascolto di sé e dell’altro/a, condivisione di un piacere e anche cambio de rol. Il tango personale e universale. 

Il tango diventato nel tempo anche spettacolo, sfida di virtuosi, in palcoscenico, teatro musicale con un gigante come Astor Piazzolla, pop nel mix con l’elettronica. Il tango come danza, il tema che l’autrice ha scelto di indagare a tutto campo, senza limiti né pregiudizi, con la massima apertura e curiosità, in un intreccio di storia e attualità, guardando già al domani.

Elisa Guzzo Vaccarino, laureata in filosofia, formata alla danza accademica e contemporanea, si occupa di balletto e di danza da decenni su quotidiani, attualmente QN, periodici e riviste, Ballet2000, Classic Voice, Fyinpaper online; firma saggi per Fondazioni Liriche e teatri, per booklet di DVD, cataloghi d’arte; collabora con la Biennale Danza e l’ASAC di Venezia, oltre che con ERT-“Carne”, è stata consulente di Torino Danza Festival dal 1987 al 1997 e del Premio Carla Fendi di Spoleto. Ha pubblicato libri su Béjart, Kylián, Bausch, Balanchine, Cunningham, Forsythe, la danza futurista e quella globalizzata, Cuba, il tango, la Geopolitica della Danza, parlando alla radio, RAI 3, realizzando programmi televisivi sui canali satellitari culturali (Tele+3, Rai Sat Show, Rai 5) e curando mostre come La Danza delle Avanguardie al MART di Rovereto-Trento. Ha insegnato Storia ed Estetica della Danza all’Università, in Italia e all’estero, e alla scuola di ballo della Scala, curando poi il coordinamento artistico del MAS di Milano. Dal 2023 fa parte del Consiglio Superiore dello Spettacolo del Ministero della Cultura.

tango

 

PRESENTAZIONE SU RA3 suite magazineI

https://www.raiplaysound.it/audio/2024/06/Radio3-Suite—Magazine-del-24062024-1a06f56f-23f8-4bce-b48d-3baf73bd4762.html

Recensione Neve su foglie vermiglie

ROCKERILLA

luglio 2024

Il riconoscimento dell’unità di tutte le cose (simboleggiato dal bianco della neve) di fronte alla molteplicità dei fenomeni di cui facciamo esperienza (in metafora l’infinita varietà di sfumature vermiglie delle foglie) è al centro della pratica del Dharma e costituisce anche il punto di fuga della poetica meditativa e pacificante del maestro zen Eihei Dögen Zenji (1200-1253), un composto invito – quasi privo di gesto – al distacco dai sentimenti umani attraverso la contemplazione poetica della natura. Il curatissimo volume edito da CasadeiLibri raccoglie waka e kanshi, poesie rispettivamente in giapponese e in cinese, selezionate, tradotte e squisitamente commentate da Shöhaku Okumura con precisione filologica e profonda padronanza della materia e impreziosite dalle eleganti calligrafie di Norio Nagayama. Vivamente raccomandato agli amanti del Paese del sol levante e ai cultori dell’estetica e della filosofia zen.

Alessandro Hellmann

 

SANS FICTION
EIHEI DŌGEN ANTEPRIMA. NEVE SU FOGLIE VERMIGLIE

Una storia semplice: “Una volta Panchan stava camminando per il mercato e vide un cliente che comprava carne di maiale. [Panshan ha sentito il cliente] dire al macellaio: “Tagliamene un bel pezzo”. Il macellaio posò il coltello, rimase in piedi con le mani giunte in shashu e disse: “Signore, quale non è un buon pezzo?” Dopo aver ascoltato queste parole, Panshan ebbe una profonda intuizione”.

L’illusione delle soluzioni facili: “Alla ricerca della spada” si riferisce alla storia di una persona la cui spada cadde in acqua mentre era a bordo di una barca. Questi fece un segno sul lato della barca dove aveva perso la spada. Un’altra persona gli chiese: “Cosa stai facendo?” Rispose: “Cercherò la spada quando la barca raggiungerà la riva”.

È in libreria Neve su foglie vermiglie, la raccolta di poesie del maestro zen Eihei Dōgen commentate da Shohaku Okumura (Casadeilibri 2024, pp. 316, € 23, con traduzione di Michel Gauvain e Lorenzo Casadei).

Eihei Dōgen (1200 – 1253) è stato uno dei più importanti maestri dello zen giapponese, fondatore della scuola buddhista Zen Sōtō. La più diffusa e radicata in Occidente.

Il titolo “Neve su foglie vermiglie” evoca davvero un’immagine suggestiva e profonda, che riflette l’armonia tra unità e molteplicità, concetti fondamentali nella pratica zen. La poesia degli waka, precursori degli haiku, è intrisa di significati stratificati che penetrano nell’animo umano, ma l’autore riesce comunque a comunicare in modo immediato e accessibile attraverso questa forma poetica. La comprensione della poesia diventa così alla portata di tutti, offrendo ai lettori italiani l’opportunità di immergersi nelle profonde metafore del maestro Zen e di esplorare il significato più profondo della vita e della natura.

Tra i molti argomenti trattati, Dogen sottolinea in particolare i seguenti punti: vedere l’impermanenza, allontanarsi dall’io centrato sull’ego, essere liberi dall’avidità, rinunciare all’attaccamento a se stessi, seguire la guida di un vero maestro e la pratica dello zazen, in particolare dello shikantaza, o “stare semplicemente seduti”. Inoltre, questa traduzione dello Shobogenzo Zuimonki è corredata da ampie note che contribuiscono a fornire un nuovo modo di avvicinarsi al testo.

Raramente viste in una raccolta così ampia o con un commento, queste poesie offrono una visione unica degli insegnamenti di Dogen e sono una bellissima espressione artistica del Dharma.

Carlo Tortarolo

La Riconocenza

La Riconoscenza

Fernando Marchiori

La riconoscenza

 

Un anziano professore di storia ‘imbatte in una pergamena medievale della quale cerca di ricostruire la singolare vicenda:

trafugata nel corso della Prima guerra mondiale da un castello sulle colline trevigiane, è finita nelle campagne boeme dentro lo scarpone di un soldato in fuga. Ma mentre ricompone l’epopea misconosciuta della Legione Cecoslovacca in Italia, il professore tradisce i segni della demenza senile. Vuole disperatamente raccontare questa storia, ma la sua memoria sdrucciola sul territorio dell’invenzione. Il romanzo storico diventa così la storia di un romanzo impossibile. A meno che qualcuno non provi a riannodarne i fili per un’altra trama.

«Un romanzo come se ne leggono pochissimi oggi. La scrittu-la è raffinata, vivida, smagliante: sa come gettarci nel mezzo di un campo di battaglia di un secolo fa o nella casa di un vecchio infermo di oggi, facendoci provare quasi fisicamente le sensazioni più intollerabili e le premure più delicate. Quel che lascia il segno è soprattutto il passaggio di testimone fra i protagonisti, padre e figlio: il dovere (che può diventare anche una forma di felicità) di raccontare, sempre, non solo la nostra storia, ma anche quella di chi ci ha preceduti e che, impastandoci in quella stessa storia, ci ha resi ciò che siamo..»

Tiziano Scarpa

 

Fatti di Acqua

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Questo libro è l’ultimo di una quadrilogia dedicata agli elementi, in cui il maestro zen Fausto Guareschi ha raccolto discorsi e scritti di una pratica iniziata 50 anni fa. 

L’acqua vi è richiamata come rugiada, pioggia, fiume, mare. Le stesse pagine hanno un andamento liquido, che ora affiora, ora è sommerso e in cui, come nei precedenti volumi, l’identità  del narratore si frantuma in  rivoli ed eteronimi, alternando la riflessione filosofica, al racconto autobiografico.

Dalla Prefazione di Tiziana Verde

 

Là dove sono presenti Buddha e Patriarchi, l’acqua è sempre presente. Dove c’è acqua, Buddha e Patriarchi sempre si realizzano come presenza. A partire da ciò, sempre triturandosi, fanno dell’acqua il loro corpo, il loro cuore e i loro pensieri. Pertanto non è detto nelle scritture buddiste o nelle scritture non buddhiste che l’acqua non salga verso l’alto. La via dell’acqua penetra ovunque su e giù, sia verticalmente che orizzontalmente. 

Dōgen Zenji Shōbōgenzō Sansuikyō.

Recensione Hanaujo Leggere Tutti

I fiori della compassione

di Andrea Coco

Aoyama Shundō è una maestra e monaca zen giapponese, autrice di numerosi libri, che, attraverso l’attività di insegnamento della Via dei Fiori (kadō), contribuisce alla diffusione di concetti dello Zen comprensibili anche al grande pubblico. Nel nostro paese le opere dedicate a presentare la “Via dei Fiori” come via spirituale sono assai poche e, a parte un paio di testi, i libri disponibili analizzano solo l’aspetto tecnico-artistico di questa pratica, tralasciando del tutto o accennando in maniera superficiale alla sua origine e al suo profondo legame con la dottrina buddhista. A compensare questo vuoto interiore, la casa editrice “CasadeiLibri” ha pubblicato in Italia “Hanaujō. I Fiori della Compassione”, un’opera formata da una raccolta di fotografie artistiche, eleganti creazioni floreali create Aoyama Shundō, le quali servono a sviluppare riflessioni che vanno oltre la semplice esposizione artistica e tecnica. Ci si trova di fronte, piuttosto, a una pratica di meditazione, di comprensione di sé stessi, della natura, dello spazio che ci circonda e della nostra percezione, insomma di fronte a un cammino di elevazione spirituale secondo i principi dello Zen. Le bellissime immagini, la poesia e l’apparente semplicità delle riflessioni della Aoyama Shundō, in realtà punto partenza di un viaggio spirituale destinato ad andare lontano, fanno di quest’opera un testo che può essere apprezzato da chiunque, seguaci del Buddhismo come semplici lettori che non abbiano conoscenza o interesse verso questa religione. Testi solo in apparenza semplici ma che per apparire tali hanno richiesto l’intervento di Watanabe Koji, traduttore professionista, che ha una conoscenza profonda del Buddhismo e della cultura giapponese. Insomma, un’opera pregevole che l’intervento grafico della CasadeiLibri ha saputo rendere ancora più preziosa, meritevole di essere letta perché “In ciascuno di noi alberga anche la mente/cuore compassionevole di un fiore ovvero la mente/cuore di Buddha”.