Kanai Mieko 金井美恵子

Kanai Mieko (n. 1947) nasce a Takasaki nella prefettura di Gunma, luogo dalla natura sterminata e in cui il legame con la tradizione culturale si rivela ancora particolarmente profondo. Fin da bambina prova uno spiccato amore nei confronti dei gatti e, come lei stessa specifica nel saggio Mayoineko azukattemasu 迷い猫あずかってます (Il mio gatto è un trovatello, 1993), la passione è condivisa dagli altri membri della famiglia. Questo lavoro che trova una collocazione particolare nella produzione di Kanai, incentrata prevalentemente su racconti di breve lunghezza e poesie, mette bene in luce l’esperienza con i felini e, più nel dettaglio, il rapporto con Toller (torā, トラー), un randagio intrufolatosi nell’appartamento di Tokyo della scrittrice e che lei ha amorevolmente accolto. Già nella copertina – opera della sorella, la pittrice Kanai Kumiko (n. 1945) – viene sottolineato come il testo rappresenti “un saggio sdolcinato composto da una scrittrice di letteratura pura che adora i gatti” e nei sedici capitoli in cui si suddivide viene dedicato ampio spazio a descrivere minutamente usi e gusti di Toller, il suo atteggiamento snob nei confronti del salmone in scatola di basso costo e i lunghi pisolini davanti alla stufa. Alla morte del gatto rimasto con lei per ben diciassette anni, Kanai decide di non avere altri animali per un po’ e ne spiega alcune ragioni nel saggio Neko no inai seikatsu no yosa ni tsuite 猫のいない生活の良さについて (Sulle cose buone di una vita senza gatti, 2011). Da un lato, una questione di tipo pratico, in quanto la scrittrice sottolinea come sia difficile per un’amante dei viaggi come lei soddisfare la propria passione avendo da accudire un gatto in casa. Dall’altro, invece, una motivazione desueta, che rispecchia il carattere di Kanai, imprevedibile e passionale: nel saggio infatti afferma che dopo la morte del gatto è finalmente tornata a mangiare uno dei suoi cibi preferiti, lo okara, che per lunghi anni aveva evitato in quanto la polpa di soia era uno dei componenti della lettiera di Toller. In realtà, come spesso avviene nelle opere di Kanai, le riflessioni condotte nel corso del testo racchiudono un aspetto più profondo, che va cercato nel legame tra la vita dell’artista e quanto riportato nei vari scritti: il flusso di coscienza e la psiconarrazione che ne caratterizzano la produzione trovano spazio anche all’interno di questo saggio, che molto sembra attingere al mondo degli zuihitsu. Se normalmente i suoi lavori di prosa e poesia si distinguono per l’assenza di marcatori convenzionali (fisici, anagrafici ecc…) e antroponimi, in Mayoineko kattemasu il nome di Toller compare un numero di volte decisamente eccessivo. Tali ripetizioni vengono abilmente articolate dalla penna dell’autrice sfruttando le possibilità offerte dalla lingua giapponese – ovvero variando i grafemi che lo compongono – e hanno la funzione di rendere ancor più palpabile l’immagine del gatto, per distinguerlo dalla soggettività indefinita dei personaggi dei lavori di fiction.

(Scheda di Diego Cucinelli)

Hagiwara Sakutarō 萩原朔太郎

Hagiwara Sakutarō (1886-1942) è originario della prefettura di Gunma, nel centro dell’isola principale dell’arcipelago giapponese. Fin da piccolo di salute cagionevole e animo sensibile, cresce cullato dall’amore di una famiglia benestante e sempre attenta alle sue necessità. Da subito dimostra interesse per l’arte, in particolare per la letteratura e la musica, e una volta al liceo Sakutarō si dedica al tanka (poesia breve), forma poetica che caratterizza i primi dieci anni della sua attività letteraria, ispirato soprattutto dalla vena romantica dei componimenti di Yosano Akiko (1878-1942), artista che reinterpreta la poesia classica di epoca Nara attraverso una sensibilità squisitamente femminile e moderna. Tale percorso, tuttavia, non si prospetta affatto semplice e degli ostacoli iniziano ben presto a presentarsi, a cominciare dal rapporto conflittuale col padre che non apprezza la sua ambizione a divenire un letterato. Il genitore lo vorrebbe a proseguire gli studi universitari, ma Sakutarō se ne allontana per inseguire il proprio sogno. Si sente intrappolato in un mondo di convenzioni da cui anela a liberarsi e il suo desiderio di fuga dalla realtà lo spinge verso la “modernità” proposta dall’Occidente, ai suoi occhi mondo culturale denso di misteri e dimensioni da esplorare. Il debutto letterario avviene nel 1913 sulla rivista Zamboa (Pomelo) diretta da un altro celebre poeta, Kitahara Hakushu (1885-1942), che per Sakutarō diviene una figura di riferimento sia sul piano professionale sia su quello degli affetti personali. Trovando mano a mano consensi nel mondo degli intellettuali, nel 1917 pubblica la prima raccolta di poemi Tsuki in hoeru 月に吠える (Abbaiare alla luna), suscitando clamore nell’ambiente letterario per l’originalità dello stile e delle tematiche affrontate. A seguire questo “primo periodo” se ne inaugura un secondo che si protrae fino alla pubblicazione della raccolta  Aoneko 青猫 (Gatto blu, 1923), in cui si inizia a delineare l’interesse per i felini che connota un consistente numero di produzioni successive. Nel frattempo Sakutarō si sposa e diventa padre di due bambine, ma la stabilità famigliare sembra destinata a durare ben poco: a distanza di alcuni anni dal trasferimento a Tokyo, i coniugi si separano nel 1929. Molto amico di vari nomi illustri del panorama letterario giapponese, quali Akutagawa Ryūnosuke e Murō Saisei, Sakutarō è uno dei poeti del gruppo di Shiki (Le quattro stagioni), una rivista mensile inaugurata nel 1934 e che – senza evidenti legami con alcuna particolare tendenza letteraria – mira a un classicismo indigeno saggiamente temperato da sentimenti e intellettualità tutti moderni, fondendo lo spirito della poesia europea con quello della lirica classica giapponese. Se finora la sua ricerca intellettuale lo ha portato a intrecciare pensiero buddhista e filosofia nietzschiana all’interno di poemi a verso libero, nell’ultimo segmento dell’attività letteraria Sakutarō effettua un percorso di riscoperta della poesia classica giapponese, esperienza che si condensa nell’ultima delle sue principali collezioni, Hyōtō 氷島 (L’isola di ghiaccio, 1934), dove ritorna a una struttura più tradizionale e un contesto realistico.

Fabian

FABIAN, nata a Montecchio Emilia nel 1965, fa carriera come fotografa nel settore della moda collaborando con testate come Vougue, Glamour, Anna, Grazia, Io donna, Elle France, Max France e realizzando importanti campagne pubblicitarie con noti professionisti fra i quali Oliviero Toscani, Jean Baptiste Mondino e Franck Horbat. Partecipa a numerose mostre in tutto il mondo e alcune sue foto sono esposte al Museo d’Arte contemporanea di Rio de Janeiro.

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