Recensione Ikonomachia

Il Foglio del 27/05/2006

di Maria Pia D’Orazi

Si cominciano a sfogliare le pagine e si vedono passare incisioni, mappe, dipin t i, carte da gioco, fumetti e percorsi web.
In apertura due citazioni, come un’avverten za, per dire che sostanza e forma sono la stessa cosa e se l’anima è quella del libro è un libro. Allora strizzi gli occhi per guarda re meglio, torni indietro, riparti con ordine e trovi il filo della storia. Un archeologo di nome Riccado sta partendo per il Cairo. In aereo incontra Isabelle, esperta di manoscritti antichi che ha scoperto l’indicazione di un luogo misterioso nella falsificazione di una pagina della Bibbia di Gutenberg. Parole e figure sono aperte in verticale a una pluralità di sottotesti, associazioni e rimandi bibliografici. La scrittura svela il processo che l’origina, mantenendo una disponibilità a diverse soluzioni di significa to. Ogni pagina è una fotografia della men te.
Un percorso a metà strada tra il flusso di coscienza e il viaggio in Rete che salta all’infinito da un’informazione all’altra.
L’autore spiega che l’oggetto in questione è nato da solo, senza pretese letterarie o estetiche. E’ una sfida contro l’affemazione: tutti possono fare un libro da soli con un computer. Roberto “ steve” Gobesso, che di mestiere fa il grafico, i libri li “fa”, e questo se l’è ritrovato per caso tra le mani sentendosi come l’Alice della Favola: quando comincia a sfogliare in cerca di un brano leggibile un testo scritto in una lingua sconociuta che le riempie la testa d’idee anche se “non sa dire esattamente quali”.
Questo libro è una riflessione sulla stratificazione d’immagini che sedimentano nella mente di ognuno, condensando porzioni di realtà e d’esperienza. Perché “i segni non esprimono , i segni significano, sono, e disdegnano di essere letti”. All’origine l’emozione di un ragazzino che guarda le donne nude sui francobolli coloniali della collezione del padre, l’attrazione per le cartine geografiche e la carta moneta, la passione per la fo tografia e le forme di scrittura estremo orientali.
Poi c’è l’amore per Borges, i labirinti e gli specchi, l’eco delle atmosfere fantastiche alla Poe e un omaggio a Burroughs, il maestro del copia e incolla. Leggendo viene da pensare al “Tristarn Shandy” (1760) di Sterne: un ghirigoro a mezza pagi na per dire il bastone brandito in aria dal caporale con un colpo a serpentina; e la se rie di manine con l’indice puntato, pagine bianche, nere o marmorizzate per segnala re l’insufficienza deIla parola e la necessità di un rafforzamento visivo.
Per arrivare in fine all’espenenza del viaggiatore d’oggi che trova un cartello “Hitachi” nel cuore di un tempio Zen a Kyoto. Santini e pubblicità.

 

Graphicus n. 1029, luglio 2006

“Ikono che?…. Ikonomachia!”
di Alexia Rizzi

Se si trattasse di cucina diremmo fusoion, se fosse cinema diremmonocumentary, se fosse arte la chiameremmo avanguardia, se parlassimo di scienza diremmo ricerca; invece è narrazione visuale e allora diciamo “Ikonomachia”, un oggetto multimodale che sotto la regia di Roberto “steve” Gobesso prende la forma del libro.

Segni, sogni, simboli domati, che sembrano costretti a stare dentroun contenitore di due taglie in meno e per questo ancora più esplosivi. Dopo la prefazione, che ci porta sui binari paralleli della progettazione grafica e della tipografia.
Il lettore-osservatore-esploratore è immediatamente catapultato nel vivo di una narrazione brillante, fatta di sovrastampe e trasparenze, effetti speciali e aforismi, testi che sconfinano in ipertesti, immagini che rompono gli argini del trilaterale, icone e apoftegmi tra cronaca e sogno. Ikonomachia è immagine che – citando un noto spot – fa l’amore (o a pugni) con gli stili tipografici, in un caos apparente di esuberanza comunicativa che rivela però, ai più attenti, una mappa investigativa assolutamente lucida e ragionata, come nella migliore fiction. In fondo ogni elemento è al posto giusto e alla pagina giusta: vi sembra un rompicapo? Bene. Gli indizi per risolverlo ci sono: basta avere una visione a 370 gradi – come dice Alessandro Bergonzoni nella postfazione –, lasciarsi precipitare a testa in giù nella vicenda e soprattutto…. Attenzione ai falsi!